Torquato Bignami, un capo partigiano in Prima Linea
Il 17 ottobre 1980 Torquato Bignami, quadro del Pci clandestino, comandante partigiano della repubblica di Montefiorino, è arrestato per aver aiutato il figlio, uno dei leader di Prima Linea. sarà perciò condannato a 6 anni di carcere. Morirà nel 2000. Qualche anno dopo Maurice scriverà la biografia di entrambi. Il post che segue è la “recensione” di Alessandra Longo, pubblicata da la Repubblica
Un padre novantenne sta morendo in un letto d’ ospedale. Il figlio sa che è arrivato il momento di mantenere la promessa, di scrivere, o meglio di rielaborare, le memorie di quel vecchio partigiano, il commissario Guido della divisione Modena, ex ragazzo di periferia, cresciuto con il mito della lotta di classe, comunista deluso che straccerà la tessera nel 1977 dopo 51 anni di fedeltà totale al partito.
«Gli uomini eguali» (Bietti editore) è il libro che Maurice Bignami, figlio di Torquato, dirigente poi pentito di Prima Linea, protagonista della stagione di sangue del terrorismo, consegna alla lettura di una generazione che forse sa poco sia della Resistenza che degli Anni Settanta. Spaccato senza retorica del Novecento, storia dell’ incontro di un giovane proletario con il Fascismo, con la violenza, con la guerra civile, con la bassezza e il coraggio dell’ uomo. Messaggio non di politica ma di sentimenti che arriva editorialmente in un momento di scadente profilo della vita italiana, con una campagna elettorale impostata dal premier su anacronistici anatemi ideologici mescolati a insulti di giornata.
Un padre partigiano, un figlio che si scotta negli Anni di Piombo, che finisce in galera coinvolgendo anche il vecchio genitore, reo di avergli messo a disposizione un appartamento. «La nostra vita, la sua e la mia – scrive Maurice Bignami – sono un intreccio doloroso e crudele, dolce e gioioso». Non si sono mai capiti politicamente, «animali differenti», si son ritrovati in finale, il vecchio con quella tessera stracciata e il giovane uscito dall’ incubo della lotta armata con una dissociazione annunciata in un’ aula di giustizia nell’ 83, a fianco di Sergio Segio.
Fuori dalle delusioni della politica, trionfa l’ amore, la dimensione umana, prepolitica. Lui, Maurice, «ha preso in prestito» la storia del padre e ne ha scritta una sua, di oltre quattrocento pagine con centinaia di protagonisti tutti veri. Non ci sono scoop, ribaltamenti di lettura, tanto cari ai revisionisti dell’ ultima ora. C’ è il racconto di un giovane «borgataro» di Bologna, quartiere Maccaferri, che vede attorno a sé «operai straccioni», miseria e ingiustizia sociale e cerca una risposta. Torquato Bignami, tornitore specializzato, comincia a fare azioni di propaganda nell’ Italia fascista degli anni Venti, ancora fuori dal delirio nazista, volantinaggio, ma anche goliardate, serate danzanti alla Casa del Fascio, «al ritmo del mango e della banane». E poi incontri segreti con i membri del partito, l’ azione di reclutamento di nuove forze dentro le fabbriche, davanti a un bicchiere di vino nelle osterie di quartiere.
Qualcuno, da destra, ha detto con sollievo che questo libro ridimensiona i resoconti truci sul fascismo perché descrive un mondo che tira avanti, dove gli oppositori finiscono in galera ma poi escono e gli restituiscono pure l’ enciclopedia di famiglia timbrata Bottai. Ma non è così. Proprio l’ onestà del resoconto certifica la dimensione tragica anche di quei primi anni di regime. Il confino non era quella «vacanza» a cinque stelle evocata da Berlusconi, dal carcere si poteva anche uscire (non sempre) ma dopo violenze e torture. Bignami padre sale rapidamente di ruolo nel partito, diventa clandestino in patria, conosce la generosità e il coraggio delle famiglie contadine che rischiano senza chiedere nulla in cambio, registra l’ escalation dell’ odio, descrive i colpi di coda fascisti, le stragi di civili ad opera dei nazisti della divisione Goering:
«Dopo l’ otto settembre, il conflitto assunse in pieno i turpi connotati della lotta senza quartiere, la truce fisionomia della guerra civile, la peggiore, quella degli uomini che si conoscono e pertanto sanno farsi molto male». Maurice Bignami prende in mano gli appunti, mentre il padre sta morendo dopo una lunga vita che lo ha visto costretto all’ esilio in Cecoslovacchia e in Francia. Lo avevano accusato di essere stato il mandante dell’ omicidio di un medico missino. Torquato il partigiano, già deluso dalla freddezza di Togliatti, torna in Italia nel 1964, a Bologna, che suo figlio non conosce. Gli sembra «la città del sole e della luna».
Non si integra più, il mondo è cambiato. Il figlio gli sfugge di mano, va incontro alla personale, tragica esperienza della lotta armata. Nel 1980 lo aiuta ospitando un terrorista ferito e si prende sei anni di galera. E’ malato, lo scarcerano, muore nel Duemila. Maurice va nella casa ormai vuota e trova un biglietto per lui. «Quando leggerai queste parole sarò morto. Sappi che ti ho voluto sempre tanto bene. Tuo padre». L’ affresco del Novecento si chiude nell’ intimità dolce e un po’ disperata di un rapporto a due.
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