10 giugno 1977: le Ucc sabotano il centro di calcolo della Sapienza. Un miliardo di danni
L’ordinanza del giudice istruttore D’Angelo nell’inchiesta contro le Unità Comuniste Combattenti così ricostruisce il sabotaggio del Centro di calcolo della Sapienza, compiuto da un commando quasi completamente femminile
Il 10 giugno 1977 un commando di quattro terroristi, tre donne ed un uomo, armati di pistole e fucile, parzialmente travisati con fazzoletti al capo e al volto, penetravano nei locali del centro calcolo interfacoltà dell’Università di Roma, costringevano gli impiegati, sotto la minaccia delle armi, a entrare in un locale attiguo; davano quindi fuoco all’unità centrale dell’elaboratore dopo avervi versato della benzina contenuta in una tanica di plastica.
L’allarme antincendio, prontamente scattato all’insorgere delle fiamme, coglieva di sorpresa gli attentatori, che riuscivano a dileguarsi con rapida fuga e dava la possibilità agli impiegati di intervenire tempestivamente e di domare le fiamme.
Un volantino abbandonato nella cabina telefonica di Piazza Cairoli a Roma l’azione terroristica veniva rivendicata, la stessa sera da un’Unità combattente comunista.
Il cervello elettronico – si legge tra l’altro nel documento – non risolve i problemi delle masse ma del sistema, di cui perpetua il potere; è, quindi, un’arma nelle mani del nemico e dobbiamo distruggerla ovunque si trovi, perché rivolta contro di noi. E’ stato questo – si precisa – l’obiettivo specifico e contingente dell’attacco. L’obiettivo meno contingente e più politico è di aprire nel movimento degli studenti un dibattito che stabilisca il ruolo rivoluzionario che il movimento dei giovani deve essere nel programma della guerra civile.
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