16.10.80: ucciso Memmo Balducci, cravattaro della Magliana

Memmo Balducci

Memmo Balducci è figura chiave alla fine degli anni 70 della “zona grigia” tra apparati di sicurezza, affaristi più o meno criminali e malavita organizzata della Capitale. Insieme a Ernesto Diotallevi gode della fiducia di Pippo Calò e cura i rapporti tra il tesoriere dei corleonesi e Danilo Abbruciati, a sua volta snodo per i rapporti con i “testaccini”, che si rivelerà la fazione vincente della Banda della Magliana.

Le vacanze in Sardegna

“In Sardegna, a Porto Rotondo, lo stesso Abbruciati – racconta Pino Nicotri in Cronaca criminale – aveva acquistato una villa da un affarista di nome Danilo Sbarra, che per evitare le manette a causa del forte odore di soldi della mafia fuggirà a Santo Domingo. Formalmente la villa era intestata a Balducci «er Cravattaro», che oltre a riciclare i quattrini di Pippo Calò prestava soldi a usura con tanto di finto negozio in Campo dei Fiori, che dei «cravattai» romani era il regno”.

E proprio in Sardegna si svolgeranno le ultime vacanze estive di Roberto Calvi. A darsi da fare per procurare villa e barca al banchiere è proprio il grande strozzino Balducci. La villa era di proprietà dell’immobiliarista Giuseppe Cabassi. Sia la governante della villa, sia la moglie di Calvi, Clara Canetti, hanno testimoniato delle visite al banchiere da parte di Abbruciati e delle premure di Flavio Carboni, l’affarista che lo accompagnerà nell’ultimo viaggio a Londra.

Germana Abbruciati, ha precisato che il fratello Danilo quell’estate le vacanze le aveva passate a Porto Rotondo, in un immobile del Villaggio Ira (dal nome della padrona, Ira Furstenberg, che aveva avuto i terreni in dono dall’Aga Kahn [a sinistra della principessa nella foto, in primo piano], un regalo di “fine love story”). Il villaggio era stato costruito in collaborazione da Calò, che aveva messo i soldi della mafia, da Carboni, che aveva procurato le licenze edilizie, da Diotallevi, che aveva investito altri soldi, e dal pregiudicato Ernesto Di Gesù, che aveva gestito il tutto”.

Il braccio largo di Calvi

Del benessere fisico del banchiere si era preoccupato anche Abbruciati, mettendogli a disposizione una sua amante, una bella donna che si presta a servizi da escort. Calvi si disobbliga generosamente, approvando la richiesta di due finanziamenti a una società immobiliare attiva in Costa Smeralda, la Prato Verde srl. Il primo di un miliardo e mezzo di lire e il secondo di sei miliardi, chiesti senza garanzie. Soci della Prato Verde erano i soliti Carboni, Balducci, Diotallevi, Abbruciati e loro amici come l’italo svizzero Ley Ravello. A opporsi al finanziamento sarà però il vice di Calvi, Roberto Rosone. Ma questa è un’altra storia. Quella che ci interessa oggi è l’omicidio del “cravattaro”, consumato appunto il 16 ottobre 1981. Lo ricostruisce dettagliatamente Pino Nicotri.

Calvi si era goduto la sua vacanza in Sardegna e le grazie di Neyde Toscano soprattutto per merito di «Memmo» Balducci, «er Cravattaro», che nonostante fosse latitante dal gennaio ’80 s’era dato da fare più di tutti per trovare al banchiere milanese una sistemazione adeguata al rango. Balducci era latitante anche quando si sposò, ma la moglie, Italia De Carolis, impalmata quando lei aveva 16 anni e lui 30, non lo sapeva. Lo apprese da una cognata solo quando restò vedova.

L’amicizia con i servizi

Una latitanza atipica, visto che spesso «er Cravattaro» per andare all’estero senza le noie delle dogane si serviva di aerei della compagnia Compagnia Aerea Italiana (CAI), emanazione del Sismi. Di latitanze e protezioni atipiche Balducci doveva intendersene, visto che nel 73 rese atipica e dorata anche la latitanza romana di Pippo Calò, accusato di omicidio e altri reati dal pentito di mafia Leonardo Vitale.

Balducci, siciliano anche lui, aveva conosciuto don Pippo nel ’54 nel carcere palermitano dell’Ucciardone, dove l’allora 22enne Calò, commesso in un negozio di stoffe in via Maqueda, scontava una condanna a 8 mesi, e poi lo aveva accolto a braccia aperte a Roma già nel ’71. Gli diede da fare il sensale per le proprie società immobiliari e man mano i due divennero soci e amici per la pelle. (…) A Roma Balducci si potrà permettere il lusso di ospitare alla luce del sole anche il latitante Tommaso Buscetta (…)

Gli errori del del cravattaro

Memmo «er Cravattaro» negli ultimi tempi aveva fatto alcuni errori. L’amico e socio Carboni gli doveva 150 milioni che tardavano ad arrivare, e così Balducci ebbe la non brillante idea di trattenerli direttamente dagli 800 milioni che l’amico Pippo aveva iniziato a dargli per farli avere al sardo tuttofare. Si trattava di un finanziamento nell’ambito del progetto di ristrutturazione del porto e del centro storico di Siracusa. (…)

E’ improbabile che Carboni e don Pippo abbiano gradito il modo con il quale il comune amico e intermediario aveva riscosso il credito. Tant’è che Diotallevi cominciò a pensare di poter prendere il posto di Balducci nei maneggi con quel ramo di Cosa Nostra e si diede da fare di conseguenza. E dire che il primo (…) era entrato nel mondo degli affari grazie all’amicizia con il secondo e ai soldi della propria consorte, Carolina Lucarini. Da facchino dei mercati generali, sì, ma padrone di vari macchinoni e di una intera palazzina nella strada dove abitava, via di S. Vincenzo, vicino alla fontana di Trevi.

Il pressing di Abbruciati

Non restò contento neppure Abbruciati quando dalla galera pregò la sorella Germana di chiedere al cordiale amico Balducci la restituzione dei 100 milioni versati per un’operazione immobiliare rimasta sulla carta. Siccome l’operazione era rimasta sulla carta, «er Camaleonte» voleva non solo gli interessi, ma l’equivalente del mancato guadagno, discorso che per un «cravattaro» doveva essere ben comprensibile.

Memmo invece riproponeva lo stesso discorso sotto forma di azioni di altre società, finché dovette arrendersi alla testardaggine del «Camaleonte» consegnando a Germana 120 milioni e la proprietà di una casa in Sardegna. (…)

«Cara Italia, non ne posso più», confidò qualche mese prima dell’ottobre ’81 alla moglie. «Appena trovo i soldi che mi servono, qualche centinaio di milioni, risolvo una situazione e poi vado a costituirmi a Palermo». E a Palermo avrebbe potuto vuotare il sacco con la magistratura che gli aveva spiccato un ordine di cattura a causa della messa in circolazione di un gran numero di assegni circolari di origine molto poco pulita. (…)

L’omicidio sotto casa

Si sa però che la moglie lo vide rientrare ridotto a uno straccio la sera in cui due «amici» gli avevano chiesto di parlargli «un attimino» fuori del Jackie’O, il famoso locale di via Boncompagni, traversa della ancor più famosa via Veneto della «dolce vita». I Balducci stavano festeggiando il diciottesimo compleanno della figliola, Roberta, che l’anno prima avevano spedito a studiare lingue all’estero. La famiglia abitava all’Aventino, in una delle 12 palazzine della pregiata via di Villa Pepoli, attigua alle terme di Caracalla. Una via privata, lunga solo 200 metri, alberata sui due lati (…) Casa Balducci era in fondo alla strada, al civico 23.

La sera del 16 ottobre, finite da un mese e mezzo le allegre vacanze in Costa Smeralda con Calvi e il resto della combriccola, il «Cravattaro» latitante uscì da una riunione della cooperativa edilizia Delta (…). Quel giorno aveva commesso un’imprudenza: aveva lasciato a casa la Smith&Wesson calibro 38. Arrivato in motorino al cancello della sua villa, Balducci prese il borsello dal bagagliaio e suonò al citofono: «Italia, so’ io, apri. E pronta la cena? Ci ho ‘na fame!»

L’ultima imprudenza di Memmo

Poi commise un’altra imprudenza: rimontò sul motorino senza aspettare risposta, convinto che la moglie lo avesse sentito o avesse comunque capito che a suonare era stato lui. Lei invece non lo aveva capito, motivo per cui prudentemente non aprì il cancello. Che suo marito non varcò mai: i botti che la signora aveva iniziato a sentire mentre rispondeva al citofono e che le erano parsi colpi di pistola erano proprio colpi di pistola, cinque. Che l’avevano improvvisamente resa vedova. I primi due avevano centrato il bersaglio mentre era in sella al motorino, in vana attesa che il cancello si aprisse.

La polizia quando finalmente arrivò, dove da sempre s’era ben guardata di farsi vedere, trovò addosso al cadavere un documento di identità intestato al morto e una patente a nome di Nello Borganzoni, un socio di Oberdan Spurio, a sua volta socio di Memmo, ma non trovò il borsello. (…)

La ricostruzione di Abbatino

Qui ometto una lunga e dettagliata analisi di Nicotri che smonta la ricostruzione del delitto fatta molti anni dopo da Maurizio Abbatino e così sintetizzata da Giovanni Bianconi: Ad ammazzare Balducci, secondo il racconto di Maurizio Abbatino, andarono in tre: 

«Apprendemmo che l’omicidio era stato commesso da Abbruciati, unitamente a Renatino” De Pedis e Raffaele Pernasetti per fare un favore ai siciliani: Balducci doveva dei soldi a Pippo Calò. Il fatto rivestiva per noi un notevole interesse in quanto ci sentimmo, come banda, coinvolti in vicende a noi estranee, quali i regolamenti di conti tra mafiosi, senza addirittura esserne informati. In occasione del chiarimento che venne dato dai predetti Abbruciati, De Pedis e Pernasetti, appresi che l’omicidio era stato commesso nei pressi, mi sembra, di una villa, da Renato e Raffaele, mentre Danilo li attendeva in auto, e che i primi due si erano dovuti calare da un muro con una corda per raggiungere l’auto stessa…», ndb)]

Il negozio a Campo dei Fiori

Tornando all’uccisione di «Memmo er Cravattaro», le indagini di polizia registrarono che a metà anni ’60 Balducci aveva aperto in Campo dei Fiori, all’angolo con via dei Baullari e vicino all’edicola dei giornali, un negozio, «De Carolis elettrodomestici», intestato alla moglie ma gestito dall’amico e socio Oberdan Spurio, definito dalla signora Italia, riferendosi alle persone che il marito frequentava, «certamente la più equilibrata, ancorché fosse assatanato per il denaro».

Spurio sarà anche stato «la persona più equilibrata» in quel giro di squilibrati, però nel suo appartamento in via Bellisario 8 il 24 dicembre 1970 era stato trovato cadavere, trafitto da 28 coltellate, un certo Enrico Possigli, guardaspalle di Giuseppe Rossi, il «sindaco dei marsigliesi» meglio noto come Jo Le Maire (…).

Qui si vendono soldi

All’ingresso del negozio «De Carolis elettrodomestici» c’era un cartello con scritto «Qui si vendono soldi». Flavio Carboni ha messo a verbale che «il negozio fungeva da vero e proprio sportello. Qui lo Spurio erogava prestiti, a volte parte in denaro e parte in preziosi od oggetti di valore», il tutto acquistato per poche lire al vicino Monte di Pietà grazie al quale la zona di Campo dei Fiori pullulava di «cravattai».

Memmo ne divenne il più ricco e famoso, tanto che il giornalista Mino Pecorelli, come sappiamo iscritto alla P2 e ucciso con una pistolettata in bocca nel marzo ’79, all’inizio del ’74 vi aveva fatto visita e ne era rimasto colpito. Ne parlò in un abbozzo di articolo di sei pagine scritte a mano con grafia minuta e nervosa, ricco di cancellature, purtroppo non pubblicato e dattiloscritto dalla polizia solo nel 1996.

Vi si leggeva chiaro e tondo che di elettrodomestici, eccetto «due radio e un aspirapolvere dietro vetri sporchissimi», non ce n’era neppure l’ombra e che in compenso in fondo al negozio deserto, «con qualche scatolone e nessun commesso», c’era un piccolo ufficio che «accoglie persone con l’espressione tesa, i gesti nervosi o stanchi». E vi si descrive già parte sia della rete di rapporti di Spurio che quella di Balducci.

Tre storie intrecciate

Le storie di Balducci, Abbruciati e Diotallevi sono talmente intrecciate tra loro e con quella di Pippo Calò, cioè con la mafia, da risultare impossibili da separare. Vale però la pena di notare che del terzetto di amiconi romani di don Pippo l’unico destinato a morire di morte naturale è Diotallevi, che per ironia della sorte era stato dato per morto già nel dicembre del ’72. Una «morte» rievocata dal «Corriere della Sera» del 9 maggio ’94 a pagina 46, con queste parole:

Poco dopo la mezzanotte di venerdì 29 dicembre 1972 due agenti del Commissariato Parioli in perlustrazione sono attirati dal frastuono di una radio di bordo: e, all’incrocio tra viale Pilsudski e via Guidobaldo Del Monte, scoprono, al posto di guida d’una Citroen Ds 19 targata Roma K32570, un cadavere. Causa della morte uno o più colpi di rivoltella. L’auto è intestata a Ernesto Diotallevi detto «Ernestino er negro», e infatti i giornali escono col suo necrologio; ventottenne, ex mozzo al mattatoio di Testaccio, entrato nella mala settore furti scippi e protezione di bische clandestine, ultimo domicilio via Ascanio Supremo 14

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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