Un adorabile vanesio: un ricordo di Nando Iannetti
E’ di qualche giorno fa questo pezzo che mi ha mandato Peppe Carrese, in proud and glory di un comune maestro e fratello maggiore. Ho scelto di pubblicarlo oggi perché, nonostante i diversi gradi di prossimità e di incroci, mi è toccata la fortuna di incrociare e conoscere Nando Iannetti in occasione di un compleanno di Oreste a Parigi, fine anni ’80, perché eravamo saliti entrambi per festeggiarlo. Il 26 gennaio, appunto.
1 – Premessa (per chi non è campano)
Detta corta: visto che oggi si è tutti più o meno vittime della riduzione del passato a telenovela col protagonista, la comparsa, l’eroe, il cattivo, Nando Iannetti va ricordato perché è stato uno dei migliori intellettuali marxisti ITALIANI del secondo dopoguerra. Detta ancora più corta: valeva un Negri, un Tronti, un Cacciari. Una “star”, insomma. Mica un Veltroni qualsiasi. E di ciò se ne avrà ampia e indiscutibile riprova nella seconda parte di questo ricordo, dedicata alla sua magistrale (eticamente, teoricamente, politicamente, penalmente: ordine non casuale) autodifesa dall’accusa di essere “uno dei capi delle BR”.
2 – Per tutti, “o’ prufessore”
Di tale motivazione, di certo il “prof. Iannetti” se ne sarebbe lamentato; “Nando”, non meno di certo, non se ne sarebbe però dispiaciuto. Volendo infatti racchiudere il mio personale ricordo di Nando in una sola frase: era un dolcissimo, adorabile, simpaticissimo vanesio. Come del resto lo dimostra(va) proprio la sua immensa, incredibile disponibilità verso tutti: amici, compagni, conoscenti. E per tutto. Ma serio. Tizio gli chiedeva una mano a preparare un esame di diritto? Addisposizione. Caia aveva bisogno di una psicoterapia? Nessun problema. Sempronio voleva sfogarsi perché aveva il cuore infranto causa delusione d’amore? Vienimi a trovare all’ora tot.
Ma questa “disponibilità”, pur sincera e incondizionata, nascondeva (e neanche tanto …) un sotteso: il voler (di)mostrare che lui era sempre un gradino (ma anche due, tre, cinque …) al di sopra. Solo che lui poteva permetterselo. Dall’alto di una statura umana e intellettuale semplicemente immense. Infatti, di lui si diceva (dicevamo): “Nando ten’ a’ capa tanta e o’ core tanto”.
Eppoi, lo faceva in un modo talmente, per così dire, “gigionesco”, tra l’affabile e il comprensivo, che alla fine non ci si sentiva, né ci si vedeva, trattati a “guagliuncelli”. Anche quando era palese che ti stesse dicendo (facendo capire) “io so’ io, o’ prufessore” (come tutti del resto affettuosamente/rispettosamente lo definivano).
Proprio per questo, chi scrive non è mai riuscito a dargli del tu. Né a chiamarlo “Nando”: sempre il “voi”, e sempre “professò”. Ma mi rendevo conto che, sotto sotto, gli facesse piacere. E a me faceva piacere che a lui facesse piacere. Anche quando tra me e lui si era consolidata una non dico “intimità” ma certo “familiarità” di rapporti. Era il mio modo per dimostragli rispetto, affetto. Stimarlo intellettualmente era poi un fatto scontato, banale, ovvio: chi non poteva non stimare (ma sarebbe più esatto dire “venerare”) Nando “o’ prufessore”?
Credo di poter dire di esser stato (magari solo per meri motivi anagrafici) l’ultimo dei suoi “discepoli”: una frequentazione nata nel ’91, con la nascita di Rifondazione Comunista, poi allargatasi ad altro. Mi era palese che Nando mi avesse in simpatia soprattutto perché solleticavo proprio il suo gigionesco egocentrismo: a me piaceva immensamente ascoltare i resoconti, su questo o quel fatto o personaggio, locale o nazionale, di “chi c’era”; a lui piaceva raccontarli. Ovviamente rapportandoli a se stesso … Un esempio: un pomeriggio si parlava (o meglio: lui parlava, io ascoltavo) del 7 aprile ’79 e lui, con l’aria di chi stesse parlando di una conoscenza qualsiasi, mi mostra una cartolina inviatagli di Toni Negri: non ricordo il contenuto preciso, ma ricordo perfettamente il tono “da pari a pari” usato da Negri.
Nando, però, non era affatto un ingenuo. Quando voleva sapeva essere perfidissimo, sprezzante, altezzoso. E va ribadito: lui poteva permetterselo. Un ricordo: un suo “discepolo” per mesi s’era sfogato con lui perché la fidanzata l’aveva lasciato. Maturando una pessima opinione della signorina. Un giorno, tornati insieme, lo incontrano; e lui, sorridente “wuè piccere’, lo sai che ti odio?”.
Poiché Nando sapeva voler bene a chi sapeva meritarsi il suo affetto; e come dimostrarlo. Ma per meritarsi il suo affetto, una cosa bisognava evitare assolutamente: spacciarsi con lui per quel che non si era. Poiché Nando ci metteva dieci secondi al massimo a capire chi eri, chi non eri e chi ti credevi di essere. Forse anche per questo credo che un po’ mi abbia voluto bene.
Non credo sia casuale che mi abbia regalato la sua collezione di “Rinascita” (dal ’62 al ’71): aveva capito quanto fossi fissato per il feticismo storico-collezionistico-archivistico più di quanto l’avessi capito io stesso …
3 – La politica? La capisco ma mi scoccia farla
Con chi invece pensava di prenderlo per i fondelli, diventava ferocissimo. A modo suo s’intende. Cosa che ho notato più volte nel suo rapporto con Rifondazione casertana. Tranne pochissimi, quasi tutti gli “esponenti” erano trattati da Nando con una sufficienza tra il paternalistico e, appunto, il professorale: ricordo la conclusione di un suo intervento ad una direzione provinciale (non mi pare sia mai stato tesserato, ma figurarsi se qualcuno s’azzardava a non farlo parlare): dopo aver letteralmente fatto a pezzi l’intervento di un alto dirigente, concludeva con “beato te che sei ignorante” (a uno che sarebbe poi diventato onorevole …). Ovviamente, le vittime dei suoi strali come si suol dire “abbozzavano”. Anche perché usava sempre un tono e un atteggiamento tra il faceto, il giocherellone, l’altezzoso che non poteva non strappare il sorriso. Tranne poi, ovviamente, non tenerlo minimamente in considerazione: tanto, era solo “o’ prufessore”. A Nando, però, la cosa non dispiaceva più di tanto: gli bastava aver dimostrato a Tizio che lui non era al posto di Tizio solo perché non gli andava.
Il suo metodo di intervento era una sorta di, per così dire, “maieutica distruttiva”: ti ascoltava, poi replicava dandoti all’inizio apparentemente ragione. Dopo dieci minuti, capivi che ti stava dando del cretino. Laddove poi necessario, buttava lì con nonchalance una citazione di Marx o di chiunque altro (tanto, li conosceva tutti: aveva una memoria spaventosa); e, laddove proprio l’avevi irritato, la citazione era in francese o in tedesco. Traducendo poi lì per lì. Aveva poi il gusto (e ammetto che l’ho preso da lui pari pari) della sottile provocazione politico-intellettuale costruita per paradossi e raffronti metaforici: ascoltatolo (inizio ’92) a un dibattito sull’immigrazione, un ragazzotto a centrosociale lo prese per un fascista …
4 – Grazie, “prufessò”
Cosa mi è rimasto di Nando? Potrei dire tante cose “intellettuali”, ma quella cui tengo di più non è affatto “intellettuale”: vendersi il meno possibile, il più tardi possibile, solo quando non se ne può assolutamente fare a meno. Cosa del resto ampiamente da lui dimostrata con la sua autodifesa, come si vedrà. E l’incrollabile fiducia che verrà un mondo dove finalmente “all’uomo un aiuto sia l’uomo”.
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