Una campagna contro la violenza dell’istituzione carcere

[A Bellizzi Irpino, venti e più anni fa accettai di condurre un'esperienza di volontariato in carcere per supportare i redattori della Strada. Per una dinamica tipica della natura violenta dell'istituzione un conflitto di apparato si scaricò sulla parte più debole: i detenuti e così io fui interdetto e tutti i partecipanti al progetto giornalistico furono deportati con un blitz dalle modalità aspre. Io, ovviamente non me la tenni. Ne uscì una lunga campagna stampa, di cui ho recuperato sei pezzi. Eccoli in sequenza. I nomi sono siglati perché dopo tanto tempo anche ai fetenti va riconosciuto il diritto all'oblio.]

DEPORTATI DECINE DI DETENUTI. BLITZ ALL'ALBA NEL CARCERE DI AVELLINO
Bellizzi_irpino_carcereBlitz all'alba nel carcere di Avellino. Decine di detenuti sono stati trasferiti con modalità particolarmente arroganti e brutali. Evidentemente ha voluto lasciare il suo segno la "squadretta" di agenti napoletani che sono stati inviati di supporto per quello che sembra essere una operazione di deportazione generalizzata e di liquidazione dell'esemplare esperienza riformista di Bellizzi Irpino. Si compie così l'ostinato disegno di restaurazione autoritaria perseguito con ostinazione degna di miglior causa dalla nuova direzione: da gennaio, infatti, la dottoressa M. reduce dalla brillante prova fornita ad Ariano Irpino, dove era aperto uno degli ultimi braccetti superdifferenziati, ha sostituito il direttore F., promosso ispettore per la Puglia, che con una coraggiosa politica di gestione riformista e di iniziativa sociale aveva risollevato le sorti del carcere irpino che la scellerata gestione B. aveva gettato nel fango.
Questa ottusa protervia ho avuto modo di verificarla personalmente. Avevo pensato a una forma di paranoia burocratica, ma evidentemente si è trattato di un lucido disegno di provocazione.
I fatti. Ho avviato un rapporto di collaborazione con la direzione del carcere di Bellizzi alla fine dell'anno scorso, sulla base dell'articolo 17 della legge di riforma penitenziaria, la cosiddetta Legge Gozzini. Avrei dovuto coordinare le attività della redazione del giornale dei detenuti "La strada".
In quel periodo il collettivo redazionale stava organizzando con il patrocinio dell'Unicef un seminario multidisciplinare su razzismo, specismo, violenza sui minori al quale avevano dato adesioni professori universitari, parlamentari europei, italiani, campani, esponenti dell'associazionismo eco-pacifista. Col cambio della direzione l'iniziativa è stata congelata. Di fronte alla sostanziale impossibilità di svolgere attività di recupero con i detenuti per la totale passività della direzione e la messa in mora delle iniziative ho proposto io stesso alla direttrice nell'unico colloquio che si è degnata di concedermi - dopo ripetuti rinvii e due ore di anticamera - di sospendermi formalmente dall'articolo 17. Mi informò allora che solo il giudice di sorveglianza ha questa competenza. 
Dopo questo incontro mi sono recato altre tre o quattro volte ad Avellino, per mantenere un minimo di contatti con i detenuti, in attesa che fosse possibile riprendere l'attività del giornale.
Una quindicina di giorni fa mi si convoca per telegramma ad Avellino, "per comunicazioni". Mi si chiedeva - per formalità burocratica - di ripetere la domanda ex art. 17 per l'attività della redazione, poi quando mi recavo in portineria e chiedevo di incontrare i redattori del giornale, dopo mezz'ora di attesa, apprendevo da un agente della biblioteca che mi era stato sospeso il permesso di accesso ai locali stessi. In pratica ero stato convocato ad Avellino - a 80 chilometri da casa mia, a 65 dal mio luogo di lavoro - per comunicarmi, anzi per farmi sapere che non dovevo più recarmi ad Avellino! Pensavo - ripeto - a un'ordinaria follia burocratica, ma le notizie che ho appreso ora sul trasferimento dell'intera redazione - e sulle sue modalità - mostrano l'esistenza di un disegno cinico e feroce.
Detenuti definitivi che avevano già ricevuto il trattamento comportamentale, accedendo ai benefici della Legge Gozzini come licenze premio, sono stati trasferiti in carceri speciali a centinaia di chilometri dalla Campania. Un detenuto napoletano - che si è costituito, ha una condanna definitiva a meno di tre anni e ha già avviato la pratica per l'affidamento in prova - ammalato di sclerosi multipla – è stato trasferito dall'infermeria in sedia a rotelle in un carcere a 600 chilometri dalla Campania, privo di centro clinico, tra il dileggio di agenti di custodia che si dovrebbero vergognare di considerarsi uomini, con la complicità irresponsabile di un medico che l'ha giudicato trasferibile.
Proprio nel pomeriggio - arrivando al giornale - ho trovato nella mia casella postale la lettera di un redattore della "Strada" che mi trasmetteva - con preghiera di divulgazione - la lettera aperta di un detenuto sulle condizioni nel carcere di Bellizzi Irpino al Presidente Niccolò Amato, direttore degli Istituti di prevenzione e pena. Esaudiamo la richiesta, anche se abbiamo forte la sensazione che il blitz di Bellizzi non sia soltanto un attacco frontale a un'esperienza riformista ma la scellerata riapertura di una nuova stagione di politiche della differenziazione penitenziaria.
GdN 29 aprile 1992

Proteste contro i trasferimenti. DA BELLIZZI IRPINO UN ATTACCO ALLA "GOZZINI"
"Chi pensa male fa peccato ma ci azzecca". Il cinico aforisma di Andreotti sembra ispirare l'azione dei magistrati di Avellino che sarebbe all'origine del trasferimento di massa dei detenuti denunciato ieri dalle colonne del nostro giornale. Secondo costoro - a quello che è dato sapere - un gruppo di detenuti si sarebbe costituito in gruppo di potere illecito all'interno del carcere utilizzando le attività di recupero e di socializzazione come strumento per acquisire benefici e favori.
Nelle periodiche campagne contro la legge Gozzini ci è capitato di sentirne di tutti i colori: ma che si arrivasse a ipotizzare la costituzione di un "racket" sul recupero sociale ci sembra francamente eccessivo.
Andrebbe ad esempio chiarito cosa c'entra in tutta questa vicenda l'episodio che continuiamo a ritenere estremamente grave del trasferimento ad Ancona del detenuto Roberto Silvi. Silvi è un ex rifugiato a Parigi. Condannato ad una pena definitiva inferiore ai tre anni per banda armata e associazione sovversiva, in esilio si è ammalato di sclerosi multipla. Si è costituito agli inizi di gennaio ed ha avviato la pratica per l'affidamento in prova. Dopo poche settimane di detenzione era stato trasferito dall'infermeria in reparto e di qui rimandato in infermeria nei giorni scorsi per l'aggravamento delle sue condizioni di salute. Contro il suo trasferimento - nonostante le gravi condizioni di salute - ha protestato, con un telegramma al ministro Martelli e al direttore generale delle carceri Nicolò Amato, il consigliere regionale dei Verdi Arcobaleno Antonio D'Acunto.
Abbiamo anche noi l'impressione che - come sempre più spesso succede - l'iniziativa giudiziaria si caratterizzi piuttosto come proseguimento con altri mezzi della lotta politica - e in questo caso dello scontro tra gruppi di potere istituzionali e non criminali.
Ma un vasto schieramento di sinistra si sta mobilitando in difesa dell'esperienza e dell'attività di recupero sociale nel carcere di Bellizzi Irpino. La deputata di Rifondazione Comunista Tiziana Maiolo ha preannunciato un'interrogazione parlamentare.
Con una dura nota di protesta si sono anche pronunciati due consiglieri regionali del Pds, Samuele Ciambriello e Roberto Ziccardi. 
"Nell'apprendere con preoccupazione e profondo disappunto la notizia riguardo i trasferimenti in massa dei detenuti dal carcere di Bellizzi Irpino, in provincia di Avellino, inviamo il seguente comunicato stampa come segnale di forte e decisiva protesta nei confronti delle scelte in materia di politica penitenziaria adottate negli ultimi tempi nella nostra regione."
"Da anni infatti - affermano i due consiglieri regionali - l'istituto di Bellizzi Irpino si è distinto, in base alla legge Gozzini, come uno dei luoghi più sicuri sia per gli agenti di custodia che per i detenuti che in esso sono ristretti. Di dominio pubblico sono state le iniziative che i detenuti insieme agli operatori penitenziari ed assistenti volontari esterni hanno portato avanti".
"Ai sensi dell'art. 20 - 7 comma dell'Ordinamento Penitenziario, infatti da oltre 5 anni, in quell'istituto di pena - prosegue il comunicato - sono stati creati un'officina per fabbri, una falegnameria, una sartoria, autogestita dagli stessi detenuti che tramite la direzione offriva i propri prodotti agli abitanti di Avellino. Vi era inoltre un corso di studio per geometri e una parte dei proventi del lavoro erano offerti dai detenuti a favore di un centro per anziani, e di un istituto per bambini portatori di handicap. Tutto questo, con un colpo di spugna, è stato cancellato senza nessuna motivazione apparente".
"Chi ha deciso - si chiedono Ciambriello e Ziccardi - di far divenire quel carcere non più un luogo di risocializzazione, secondo il dettato costituzionale, ma un'ennesima scuola di violenza dove ogni speranza viene bocciata?"
E' nostra intenzione - conclude la nota dei due consiglieri del Pds - recarci in visita ufficiale presso il carcere di Bellizzi Irpino per comprendere i reali motivi che hanno spinto le autorità preposte a porre in essere un simile repentino mutamento di rotta che di fatto attenta allo spirito che il legislatore ha sancito nel varare prima la riforma penitenziaria e poi la legge Gozzini.
30 aprile 1992

PROTESTA DELLE DETENUTE DELLA SEZIONE FEMMINILE CONTRO LA DIRETTRICE. "VIA LA M."! CONTINUANO I TRASFERIMENTI DA BELLIZZI
Continuano i massicci trasferimenti dal carcere di Bellizzi Irpino ma l'ondata di piena controriformista non sembra piegare la volontà di resistenza e di lotta dei detenuti e degli operatori volontari.
Lunedì pomeriggio un gruppo di detenute - sono una quindicina in tutta la sezione femminile - avrebbe esposto uno striscione di protesta contro la svolta: "Via la Mallardo!". Un messaggio chiaro, un attacco frontale alla responsabile del "gran freddo".
Gli agenti di custodia avrebbero rapidamente provveduto a sequestrare il lenzuolo che invoca la sostituzione della direttrice. 
Ristagna intanto l'inchiesta della Procura della Repubblica sulle presunte irregolarità amministrative compiute dalla direzione precedente. Secondo indiscrezioni provenienti da ambienti penitenziari l'ex direttore F.- ora ispettore a Bari - si accingerebbe a presentarsi volontariamente in Procura - forse oggi stesso - per precisare tutte le inesattezze che sono filtrate sulla stampa in questi giorni. 
E' sempre più evidente, comunque, l'assoluta sproporzione tra l'inconsistenza degli addebiti amministrativi eventualmente contestabili e la pesantezza della cornice - una sorta di racket camorristi-ex terroristi costituito all'interno del carcere con la condiscendenza della precedente direzione - nella quale si vorrebbe iscrivere l'attività di risocializzazione dei detenuti. Addebiti del resto che non sono attribuibili solo alla direzione F.
Proprio ieri è stato intanto trasferito il detenuto C. - l'autore della lettera aperta di protesta indirizzata al direttore generale delle carceri Nicolò Amato da noi pubblicata il giorno dopo l'inizio dei trasferimenti di massa. Il detenuto ha precisato - in una lettera a un altro quotidiano napoletano, che aveva riportato senza verificarle le indiscrezioni provenienti da ambienti giudiziari - che l'affidamento di beni dell'amministrazione alla sua persona per l'avviamento dell'officina di fabbro (attività lavorativa interna prevista dall'ordinamento penitenziario) alla quale lavorava con altri detenuti è previsto dal regolamento e che comunque non è stato effettuato dal direttore F. ma dal precedente direttore, B.
Su queste vicende ci è pervenuta una lunga lettera dei volontari di Bellizzi Irpino che denunciano la vanificazione di anni di lavoro dedicato al recupero sociale dei detenuti con la liquidazione dell'avanzata esperienza di risocializzazione. La pubblichiamo in questa pagina.
Maggio 1992

L'odissea di un carcerato con la sclerosi a placche per 20 ore in un cellulare in giro per l'Italia. Bellizzi, ma quel detenuto malato non doveva essere trasferito così
Ora l'ordine regna nel carcere di Bellizzi Irpino. Liquidato con un colpo di mano quel gruppetto di detenuti che continuava a credere nella possibilità di interpretare autenticamente la feconda utopia del recupero e del reinserimento sociale, per il governo della popolazione del penitenziario vige l'aurea legge forcaiola del "panem et circensem". Via le attività culturali, via le attività produttive esterne, chiuso il giornale, chiusi gli spazi di socialità, praticamente azzerate le attività trattamentali, l'unico spazio collettivo affollato è il campo di calcio. Certo costa poco gestire con un basso profilo paternalistico l'istituzione, molto meno dell'impegno umano e culturale che impone la sfida della riforma.
E la vicenda di Bellizzi rischia di diventare paradigma di una liquidazione tutta all'italiana della legge Gozzini. Il buon Giulio Andreotti - uno che di gestione del potere se ne intende - spiegava tempo fa che col passare del tempo si risolve una buona metà dei problemi. Perché ci pensa qualcun altro a farlo. O perché col tempo molti problemi non sembrano più tali. E così, fallito per la rivolta di qualche centinaio di uomini di buona volontà - operatori penitenziari, giudici di sorveglianza, volontari - il tentativo di liquidare per via legislativa la legge Gozzini, i nostri culi di piombo - del ministero o dei terminali periferici dell'amministrazione giudiziaria e penitenziaria - si sono messi di lena a lasciar marcire di ordinaria lentezza burocratica il fervore di tanta iniziativa, soffocando lo spirito di riforma per via amministrativa. I costi umani di queste scelte scompaiono da ogni contabilità: ma non sarà possibile occultare a lungo la catena di una nuova sottile violenza.
Per i 15 detenuti trasferiti pretestuosamente da Bellizzi - gli addebiti contestati nell'inchiesta amministrativa sono estremamente generici e al momento per la stessa Procura di Avellino che pure indaga non si configura nessuna ipotesi di reato - ricomincia da zero il cammino della speranza. Sbattuti in carceri lontani, si vedono vanificare anni e anni di duro lavoro e di impegno per rendersi degni della speranza di rompere con la spirale della violenza. E' così buttato al mare il sacrificio di chi - per superare il parere sfavorevole del comitato dell'ordine pubblico - era giunto a rinunciare ai colloqui e alla corrispondenza con la famiglia per non legittimare il sospetto di una continuità organizzativa con la criminalità organizzata.
Ma il blitz voluto dalla M. non ha - nonostante tutto - liquidato lo spirito di resistenza e la giusta volontà di denuncia dei detenuti. E a proposito di gruppi di potere all'interno del carcere va sicuramente segnalato come inquietante e inopportuna coincidenza il trasferimento - al seguito della direttrice - del capo delle guardie di custodia di Ariano Irpino a Bellizzi, il maresciallo Fa., fratello dell'educatore coinvolto nello scandalo B., sul fronte giudiziario opposto a quello della ex direttrice. Acquista nuova luce, quindi, il trasferimento - una settimana dopo il blitz - del detenuto C., imputato nel processo B. di violenza contro l'educatore Fa. e autore della lettera aperta al Presidente Nicolò Amato - pubblicata sul nostro giornale - in cui si denunciava la svolta autoritaria in atto a Bellizzi.
Ci ha scritto - tra l'altro - dal carcere di Ancona in cui è stato trasferito il detenuto Roberto Silvi per segnalarci una nostra imprecisione: non lui - come avevamo scritto - ma un altro detenuto è stato oggetto di maltrattamenti della scorta. Non abbiamo problemi ad ammettere il nostro errore. Anche perché da ulteriori informazioni ricevute da altre fonti possiamo affermare - assumendocene la piena responsabilità - che è evidentemente stato posto in essere un comportamento illecito. Se infatti era opinabile la valutazione del medico che ha ritenuto "trasportabile" Silvi, per il detenuto S. F. le condizioni di salute erano già documentate. Ricoverato in infermeria per sclerosi a placche, con problemi neurologici, zoppo e con altre malattie, F. ha presentato un certificato medico che attestava la sua impossibilità di viaggiare tranne che con autoambulanza. Fa. ha provveduto a farlo trasportare a braccia dalla squadretta e il maresciallo dei Carabinieri ne ha accettato il trasferimento. Fino a Padova, dopo un giro per sei carceri, dove è arrivato a notte fonda, dopo una ventina di ore di trasferimento.

Lucignano consegnò la sua pistola d'ordinanza: condanna a un anno QUELL'AGENTE DI BELLIZZI ARMO' IL BOSS DI MONTORO
Il giudice dell'udienza preliminare, M.P., ha condannato ad un anno di reclusione U. L., l'agente di polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Bellizzi Irpino che ha dato la sua pistola d'ordinanza al boss della camorra di Montoro G.M.
L'arma, "pulita" e con la quale sarebbe stato possibile commettere qualsiasi reato senza timore che gli inquirenti potessero risalire al legittimo proprietario, era stata trovata in possesso di M. quando è stato arrestato il 6 febbraio scorso. Il boss era all'interno di un negozio di pelli a Montoro quando gli agenti hanno effettuato il controllo. L'arma era nella cintola dei suoi calzoni.
Identificata l'arma come un modello in dotazione a "corpi" di polizia - una Beretta bifilare capace di sparare 16 colpi in rapida successione - dal numero di matricola è stato possibile risalire a L., in servizio presso la casa circondariale di Bellizzi, dove l'attuale direzione pretenderebbe di risolvere i problemi di gestione del carcere affidando tutto il potere agli agenti di custodia, come ha già fatto nel carcere di Ariano Irpino. 
Un modello autoritario che mette in liquidazione la legge di riforma e la legge Gozzini e rischia di essere foriero di gravi guasti.
Si finisce infatti così col penalizzare i detenuti impegnati nell'opera di recupero sociale e di premiare invece le collusioni effettive tra camorra e agenti compromessi con i clan.
La deportazione del collettivo redazionale del carcere "La strada" - con il relativo polverone sollevato su un fantomatico racket di detenuti - si rivela sempre più come un diversivo che finisce oggettivamente per distrarre l'attenzione e per coprire quelli che sono i veri loschi traffici all'interno del penitenziario.

UNA LETTERA APERTA DI UN DETENUTO AL DIRETTORE GENERALE DELLE CARCERI
LE VOCI DAL SILENZIO E LE TRE SCIMMIETTE
Una voce dal silenzio rompe la rappresentazione delle tre scimmiette. Lo conosciamo bene il loro gioco: non vedono, non sentono, non parlano. A ciascuno il suo.
La Procura di Avellino - dopo essersi lasciata sfuggire dal seno una voce: il carcere di Bellizzi Irpino è in mano a un racket dei detenuti - tace, nonostante la gravità dello scenario configurato.
Il tribunale di sorveglianza non vede il processo di radicale liquidazione delle attività trattamentali voluto dalla nuova direzione e gestito dalla custodia, non interviene, abdica al suo compito istituzionale di "vestale" del sacro fuoco della riforma penitenziaria e della legge Gozzini. 
Il presidente Nicolò Amato, direttore generale degli istituti di prevenzione e pena, non sente il grido di dolore di detenuti e operatori penitenziari lanciano sullo scempio del "carcere della speranza". Continua a scrivere che si, bisogna ancora praticare la feconda utopia del riscatto dei detenuti, ma le parole non sono seguite dai fatti.
E così un detenuto indomito, C., che ha già pagato con un trasferimento da Bellizzi a Sollicciano la pubblicazione sul nostro giornale di una prima lettera aperta al presidente Amato sulla restaurazione autoritaria in atto nel carcere di Avellino, rilancia.
Ci manda un'altra lettera aperta, con preghiera di diffusione. Lo facciamo anche se non condividiamo - del tutto - la sua ricostruzione delle vicende del carcere di Bellizzi.
Ma il dissenso appartiene agli uomini, mentre il silenzio si addice ai miserabili.
17 GIUGNO 1992

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