Di Vittorio e Calidori replicano al Garantista: Mambro e Fioravanti dicono cose ingiuste

Il Garantista, martedì 2 dicembre 2014

LETTERA

Fioravanti e Mambro, dite cose ingiuste

di Anna Di Vittorio e Gian Carlo Calidori

segue a pagina 22

Caro direttore,

vorremmo esprimere alcune considerazioni sull’articolo, pubblicato giorni fa con questo titolo: «Mambro e Fioravanti: è persecuzione». Noi due ci siamo conosciuti – eppoi innamorati e sposati – “grazie” alla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 dove – insieme con tutti gli altri – sono stati uccisi Mauro Di Vittorio, fratello di Anna, e Sergio Secci, “compagno di scuola” di Gian Carlo.

  Le accuse ingiuste di Mambro e Fioravanti e le furie ideologiche di Bolognesi

LETTERA ADDOLORATA DI DUE “CITTADINI” AI QUALI LA STRAGE DI BOLOGNA HA CAMBIATO LA VITA

«… C’è una solitudine che bisogna accettare, alla quale ho resistito per anni, perché tutto quello che divide e isola mi fa orrore, alla quale resisto ancora, ma che è inevitabile se si hanno certe esigenze. Si vorrebbe essere amati, riconosciuti per quello che si è, e da tutti. Ma è un desiderio da adolescenti. Presto o tardi bisogna crescere, accettare di essere giudicati, o condannati, e ricevere quel che appartiene al regno dell’amore (desiderio, tenerezza, amicizia, solidarietà) come un dono immeritato. La morale non è di nessun aiuto. Solo la verità… ossia lo sforzo ininterrotto per avvicinarci a essa, la decisione di dirla quando la si percepisce, a tutti i livelli, e di viverla, dà un senso, una direzione al cammino di ognuno. Ma in un’epoca di malafede, chi non vuole rinunciare a separare il vero dal falso è condannato a una sorta di esilio. Ma almeno sa che questo esilio presuppone una riunione, presente e futura, la sola valida, che noi abbiamo il dovere di servire…»

ALBERT CAMUS, da una lettera a Jean Gillibert del 10 febbraio 1956

In: Herbert Lottman – Camus – Jaca Book, 1984

Caro direttore,

le chiediamo ospitalità per esprimere alcune considerazioni sull’articolo, pubblicato giorni fa in prima pagina del suo giornale, scritto dalla signora Laura Arconti (militante, della Direzione dei Radicali Italiani), e titolato così: «Mambro e Fioravanti, è persecuzione».

Facciamo appello – per avere questo spazio – alla sua rapidità di pensiero e al suo altruismo. Lei è persona che – alla maniera di Baudelaire – ama le sensazioni forti e non si sottomette all’ingiustizia. Lei è persona che si impegna, sempre in prima persona, a sostenere “cause di verità”, magari per come la vede lei. Più che giusto, si capisce.

La Mambro e Fioravanti hanno sostenuto che noi due siamo persone molto di sinistra. Ora, nell’esprimere considerazioni sull’articolo citato, vogliamo procedere con ordine. L’ordine è di Destra? Pazienza. Qualcuno se ne farà una ragione. Quanto a noi, continuiamo a vivere come sempre abbiamo fatto: il coraggio chi ce l’ha non se lo può togliere.

Noi due ci siamo conosciuti – eppoi innamorati e sposati – “grazie” alla Strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 dove – insieme con tutti gli altri – sono stati uccisi Mauro Di Vittorio, fratello di Anna, e Sergio Secci, “compagno di scuola” di Gian Carlo.

L’Associazione vittime della strage di Bologna è stata fondata il 1° giugno del 1981, e noi abbiamo collaborato fino a tutta la prima metà del 1982. Poi, abbiamo scelto di allontanarci dall’Associazione, proseguendo il nostro cammino in serena e sovrana solitudine. Nel 1983 ci siamo sposati. Da più di trent’anni, dunque, viviamo questa nostra condizione “coniugal-democratica” (dire così è politicamente corretto? Speriamo).

La sentenza definitiva, e passata in giudicato, condanna la Mambro e Fioravanti come esecutori materiali della strage di Bologna. Una sentenza giudiziaria ci offre la così detta “verità giudiziaria”, non certo la Verità Storica. Tuttavia, questa sentenza è un “principio di realtà”, che non può essere disatteso e noi non lo facciamo. È una questione di buon senso che, nel nostro caso, non si nasconde da qualche parte per paura del “senso comune”.

La Mambro e Fioravanti hanno il diritto – da loro agìto più in senso mediatico che giudiziario – di dichiararsi innocenti per quel reato. Lo fanno da decenni. L’Italia è uno Stato di Diritto, dove esiste il diritto di chiedere la revisione di un processo – con tutti i rischi che questo comporta, si capisce. Adriano Sofri ha avuto il coraggio di chiedere la revisione del proprio processo – con esiti, per lui, negativi. La Mambro e Fioravanti questo coraggio sembrano proprio non averlo. Ne “I giardini di Marzo”, Mogol-Battisti dicono così: «Ma il coraggio di vivere quello ancora non c’è». Che disdetta.

Nella primavera del 2008 abbiamo scritto lettere alla Mambro e a Fioravanti, per cercare di costruire – insieme con loro – la riconciliazione. All’inizio, sembrava che la cosa funzionasse. Tant’è che, alla vigilia della richiesta della libertà condizionale per la Mambro, abbiamo scritto – su loro sollecitazione – la “lettera di buona condotta”. Così l’hanno chiamata loro, spiegandoci che questa nostra lettera avrebbe costituito un elemento importante per ottenere la libertà condizionale.

Abbiamo scritto la “lettera di buona condotta”. È stata utile. La Mambro ha ottenuto la libertà condizionale. Siamo felici per la Mambro e per Fioravanti. Ma, soprattutto, siamo felici per la loro figlia. L’Italia è uno Stato di Diritto – giova ripeterlo – e nello Stato di Diritto, essendo le responsabilità penali individuali e personali, i crimini commessi da loro due non ricadono sulla loro figlia. Ci mancherebbe altro.

Nell’aprile del 2012, l’ex on. Enzo Raisi ha cominciato a sostenere, sui giornali e presso la Procura di Bologna, che Mauro Di Vittorio – il fratello di Anna – fosse lui il vero autore della Strage di Bologna. Mauro Di Vittorio: l’Autonomo Romano – così ha voluto definirlo l’ex on. Raisi.

Tutto questo all’interno della così detta “pista palestinese”, secondo la quale i veri autori della Strage di Bologna sono i terroristi palestinesi, in combutta con “Carlos lo sciacallo” e due ex terroristi tedeschi. Più l’Autonomo Romano, si capisce.

La Mambro e Fioravanti hanno voluto sostenere questa – a nostro avviso e non solo – “dissennata tesi”. Lo hanno fatto, anche, con una lettera pubblicata da “Il Giornale” di Milano, e con un’intervista rilasciata al quotidiano “Il Tempo” di Roma.

Nel marzo del 2013 ci siamo presentati negli uffici della procura di Bologna, alla presenza del magistrato Enrico Cieri e del vicequestore Antonio Marotta. Abbiamo difeso, prove alla mano, questo nostro concittadino – Mauro Di Vittorio – vittima della Strage di Bologna.

Mauro Di Vittorio, nostro concittadino, perché noi pensiamo e pubblicamente sosteniamo che le vittime dei terrorismi non sono i parenti degli altri: questi morti sono i nostri concittadini.

Il 30 luglio scorso, il procuratore capo Roberto Alfonso, e il sostituto procuratore Enrico Cieri, hanno presentato la richiesta di archiviazione per la “pista palestinese” e per Mauro Di Vittorio.

I magistrati Roberto Alfonso e Enrico Cieri, a proposito di Mauro Di Vittorio, hanno voluto scrivere così: «vittima oggettiva di quella esplosione.»

Questi sono i fatti, che noi interpretiamo alla luce della nostra educazione civica, della cultura. Perché i tanti miliardi di fatti quotidiani, che accadono ogni giorno nel mondo, diventano fatti storici solo alla luce della cultura. E siccome la natura degli esseri umani è, appunto, la loro cultura, questo è quanto.

Ora, come si potrebbe fare per definire noi due complottisti e sospettosi? Quale “sospetto” e quale “complotto” abbiamo agìto verso la Mambro e Fioravanti?

Come si potrebbe fare per incasellarci nella categoria dei famigliari delle vittime che praticano «livore vendicativo»? Noi due rifiutiamo la definizione di famigliari, per assumere – fino in fondo – la condizione di “cittadini di uno Stato di Diritto” qual è l’Italia. Come si potrebbe accusarci di «perseguitare una persona per quello che è stata e non è più»?

La Mambro e Fioravanti «ora tacciono, un po’ per prudenza e molto per sfinimento interiore». Dopo l’esperienza che essi hanno voluto farci fare negli ultimi due anni, noi, in confronto a loro, conserviamo la Prudenza – intesa come virtù cardinale – e ci sentiamo due “gagliardi vecchietti”. Va bene così?

Ma invece di tacere, la Mambro e Fioravanti farebbero bene a parlare, a spiegare – pubblicamente – a che titolo hanno voluto infangare – pubblicamente – la memoria di “questa” vittima della Strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980: Mauro Di Vittorio.

Attendiamo nuove.

È vero: la notizia della sentenza del Tribunale Civile di Bologna, che condanna la Mambro e Fioravanti al pagamento di una pena pecuniaria, è stata ripresa da moltissimi giornali. “La Stampa” di Torino, per esempio, oltre all’articolo, pubblica anche una breve intervista (tre domande) a Paolo Bolognesi: presidente dell’Associazione delle vittime della strage di Bologna. Ma si sa: ormai i giornali tendono a pubblicare la notizia clamorosa, la dichiarazione strepitosa. Poi, il giorno seguente, dopo averle pubblicare, i giornali tornano a essere dimentichi di sé. Evviva.

La Stampa” di Torino è stato sempre considerato il giornale della borghesia illuministica d’Italia – del nord e non solo. Spiace, dunque, leggere questa frase del giornalista Franco Giubilei: «Come potranno, loro e i loro eredi, pagare effettivamente questa cifra è un’altra questione».

Infatti, il tema dell’eredità – al momento, per lo meno – non si pone. Intanto, siamo di fronte a una sentenza di primo grado, il che significa che, per avere la sentenza definitiva e passata in giudicato, mancano due gradi di giudizio: come si usa fare in uno Stato di Diritto, qual è la Repubblica Italiana. Dunque, c’è tempo, e vale la pena trattenere nella penna – o nella tastiera del computer – considerazioni “stravaganti” come questa. A suo tempo, quando la figlia della Mambro e di Fioravanti avrà raggiunto la maggiore età – ché, al momento, è ancora minorenne – come erede entrerà, teoricamente, in possesso di un’eventuale – e tutta da verificare – eredità da parte dei propri genitori. Eredità teorica, dicevamo, perché lei – ammesso che un’eredità materiale esista – ha tutto il diritto di rinunciare a questa eredità, sulla quale potranno gravare – dopo la sentenza definitiva – le passività previste dalla Legge.

Dunque, persone come Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone non avrebbero scritto – né sottoscritto – un articolo come questo. Mai.

Il presidente Bolognesi, appresa la notizia della condanna della Mambro e Fioravanti al pagamento di questa pena pecuniaria, afferma: «È una bellissima notizia, non me l’aspettavo. Così per loro e i loro eredi il discorso della strage di Bologna rimarrà come una macchia indelebile, costantemente, anche dal punto di vista economico, che è poi quello che capiscono meglio».

I loro eredi? Macchia indelebile? Il presidente Bolognesi, con questa affermazione, dimostra di ignorare – tre volte – i principi costitutivi dello Stato di Diritto.

In una vicenda giudiziaria, quale che sia, e per giunta non ancora conclusa, non si coinvolge – pubblicamente, addirittura – un minore. Mai.

In uno Stato di Diritto, qual è l’Italia, le responsabilità penali sono individuali e personali. Quand’anche queste responsabilità siano e vengano riconosciute come reati da un Tribunale della Repubblica Italiana, esse non ricadono – tantomeno moralmente – sui figli dei condannati.

Dire questo, come ha fatto il presidente Bolognesi, significa fare confusione tra due piani giudiziari incompatibili tra di loro: quello penale e quello civile. Dire questo, come ha fatto il presidente Bolognesi, significa voler fare, dell’Italia, uno Stato Etico di famigerata memoria, dal quale i nostri nonni e genitori ci hanno salvati con la Guerra di Liberazione. La guerra è finita. Lo Stato di Diritto, la Democrazia, la Giustizia e la Libertà sono per tutti e per ognuno. Dire questo, come ha fatto il presidente Bolognesi, significa voler fare, dell’Italia, uno Stato Tribale, dove impera la legge del sangue: fra le leggi, la più iniqua e crudele che ci sia. Se il presidente Bolognesi intende dar vita a una Faida, si assuma tutte le proprie responsabilità di questo suo gesto: assurdo e irricevibile.

Ma il presidente Bolognesi, per giustificarsi, potrebbe dire che lui, con la parola “eredi” intendeva indicare coloro che – per ragioni politico-ideologiche – hanno avuto a che fare col “terrorismo nero” della Mambro e Fioravanti. Se così fosse – come suol dirsi – la toppa sarebbe peggiore del buco. In uno Stato di Diritto non si emettono sentenze che erogano pene per gli “eredi politico-ideologici” degli imputati. Qui, qualcuno ha nostalgia del “Tribunali Speciali” degli Anni Venti, dove di erogavano “pene etiche”? Quand’anche fosse, l’Ordinamento Giurisdizionale della Repubblica Italiana non lo permetterebbe.

Quanto a noi, ancora una volta abbiamo il Dovere di difendere i principi costitutivi dello Stato di Diritto, le Istituzioni Democratiche della Repubblica Italiana.

Lo facciamo con Gioia, perché questa volta si tratta di difendere la vita di una bambina che rappresenta – simbolicamente e concretamente – le nuove generazioni di cittadini italiani ed europei. Seminiamo speranza, affinché tutti i figli di tutti gli ex terroristi siano trattati per quello che sono: cittadini della Repubblica Italiana: nostri concittadini.

 

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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