30 settembre 1977, ucciso Walter Rossi: primo delitto Nar
Il pomeriggio del 30 settembre 1977, dopo una settimana calda in cui sono stati feriti a colpi di pistola dai neri due compagni in due diverse zone di Roma, avviene la tragedia. Dal circolo dell’ultrasinistra di via Pomponazzi parte un gruppo dell’ultrasinistra, che risale, a piedi, viale delle Medaglie d’Oro. La destinazione del volantinaggio «attivo» è la sezione missina della Balduina, al numero 128/c, il cuore pulsante dell’ambiente rautiano di Roma, in quel momento guidata da Alessandro Di Pietro (successivamente conduttore di diverse trasmissioni Rai).
Il giorno prima il tam-tam missino ha fatto accorrere davanti alla sezione, per difenderla dall’assalto dei compagni, una sessantina di camerati, anche di altri quartieri, tra i quali una coppia di diciassettenni arrivata da Monteverde a bordo di un Vespone: i diciassettenni Cristiano Fioravanti e Alessandro Alibrandi. A separare rossi e neri, un paio di cellulari della polizia. All’imbrunire il gruppo di missini si stacca dalla sezione e comincia a scendere il viale, per andare incontro ai compagni che stanno salendo. All’altezza del benzinaio Esso parte una sassaiola, neanche particolarmente violenta. Subito dopo, gli spari. I due ragazzini di Monteverde si sono staccati dal gruppo dei missini e, come racconterà anni dopo Cristiano Fioravanti, lui e Alibrandi sparano entrambi, anche se la sua pistola si inceppa. Cade colpito alla testa il ventenne Walter Rossi, militante di Lotta Continua, che morirà poco dopo.
La confessione di Cristiano Fioravanti
Secondo Cristiano, dunque, il colpo mortale è partito dalla pistola del suo amico Alessandro, anche se tutti i testimoni parlano di un ragazzo basso e tarchiato, descrizione che corrisponde al fisico di Cristiano e non a quello di Alibrandi, che è alto e magro… Al di là della singola responsabilità, l’effetto del tiro al bersaglio dei due baby killer è devastante. I giorni successivi saranno il momento più violento e duro dell’antifascismo militante, in tutta Italia: sedi missine e della Cisnal assaltate e incendiate in decine di città, e poi la tragica e atroce fine del povero Roberto Crescenzio, studente lavoratore apolitico, morto carbonizzato nel rogo del bar Angelo Azzurro a Torino, assaltato il 1° ottobre a colpi di molotov da ronde di compagni solo perché considerato un luogo di ritrovo di «fasci». Il ministero dell’Interno cerca di reagire. Intanto chiude, d’autorità, la sezione Balduina e arresta decine di militanti che erano in viale delle Medaglie d’Oro al momento dell’omicidio, sperando che, nel mucchio, ci siano anche i colpevoli. O che, almeno, qualcuno di loro faccia i nomi giusti. Invece i due giovanissimi killer se ne tornano indisturbati nel loro «feudo» di Monteverde. E nessuno li denuncia.
Il ricordo di Bruno Soccillo
Bruno Socillo: In quel periodo ero il vicesegretario della sezione Balduina e lavoravo alle Edizioni Europa, la libreria rautiana di via degli Scipioni. Appena seppi della tragedia andai nella stanza di Rauti e gli dissi: «Pino, è successo un casino alla Balduina». Allora salimmo in macchina e ci dirigemmo verso viale delle Medaglie d’Oro. Sul posto c’era Umberto Improta, che mi notò. Così, quando poi arrivò l’ordine di accusarci tutti di ricostituzione del partito fascista, denunciarono anche me. La cosa si risolse dopo tre mesi. Gli avvocati mi consigliarono di non farmi arrestare e aspettare, nascosto, che le cose rientrassero. «Meglio aspettare fuori che dentro», mi dissero, e seguii il loro consiglio. Mentre chi rimase a casa fu arrestato e si fece tre mesi in carcere. Così come tutti quelli che erano davanti alla sezione al momento degli spari. Con il risultato che quelli arrestati erano innocenti e quelli che sul serio spararono non vennero presi…
Nella retata finisce anche Egidio Sangue, come ex segretario di Prati, anche se quel 30 settembre è già sotto le armi da un mese: «Siccome ero militare fui costretto a consegnarmi. Mi presentai in caserma e mi arrestarono. Mi tennero dentro fino al marzo 1978…»
Valerio: da mesi ci si sparava a Balduina
Sui fatti della Balduina e, più in generale, sul clima che li aveva preceduti, Valerio Fioravanti ha una sua teoria: Io non c’ero perché facevo il militare, ma Alessandro e Cristiano mi raccontarono come andarono le cose. Certo, loro spararono. Ma vorrei ricordare che qualche mese prima i compagni avevano sparato in testa a Enrico Tiano, allora segretario della sezione Balduina, che sopravvisse per miracolo. Quel giorno erano tornati per finire il lavoro. Il clima nei nostri confronti era di odio totale. Senza limiti. Basti vedere quel che accadde ai funerali di Walter Rossi e nei giorni immediatamente successivi.
Cacciola rischia la pelle nella rappresaglia
La furia antifascista colpirà anche la sezione Prati e il Fuan di via Siena. Biagio Cacciola:
“Da poco ero entrato nell’esecutivo del Fronte della Gioventù, così, insieme al segretario del Fronte, Gianfranco Fini, quel 30 settembre andammo a una manifestazione a Napoli. Tornammo a Roma in serata e venimmo a sapere di Walter Rossi dalla radio. Si parlava anche di scontri a piazza Risorgimento, perché la prima cosa che fecero i compagni fu assaltare la sezione Prati e incendiarla. Fini se ne andò a dormire a casa sua a Monteverde, io andai al Fuan, perché dormivo proprio dentro la sede. A un certo punto, saranno state le 23, mi alzo di botto e mi dico: Fammi anda’ a vede’ che succede a piazza Risorgimento. Quando arrivo là, ci sono ancora le fiamme alte dentro la sezione, con i vigili del fuoco che tentano di spegnerle. Mi sento toccare alle spalle, mi giro e mi trovo davanti Gigino Megna, proprietario del famoso ristorante di Frosinone La stella, insieme a Franco Alcese, che erano venuti a Roma a puttane. Avevano una Fiat 1500.
Mi dicono: «Vieni con noi, che fai qua?»
Rispondo: «Ma domani dovrei andare all’università».
E loro: «Ma che te frega, per una volta. Vieni con noi e poi ce ne torniamo tutti a Frosinone». Insomma, mi convincono e, dopo che hanno fatto quel che volevano fare, rientriamo a Frosinone e io vado a casa dei miei a dormire.
Alle 6.30 del mattino squilla il telefono di casa. Risponde mia madre. Dall’altro capo della cornetta c’è Gigi Serafini, un militante del Fuan, che telefona da Roma e le chiede di me. Mia madre mi sveglia e me lo passa. Serafini comincia a farmi domande strane, tipo: che facoltà fai? Quando sei nato? Lo riempio di insulti. Dico: «E tu mi svegli a quest’ora per queste stronzate?» Pensavo a uno dei loro soliti scherzi. Ma lui, serio, mi risponde: «Dimmi quando sei nato, voglio sapere se sei davvero tu, perché stanotte alle 5 i compagni hanno fatto saltare la sede del Fuan e io» (abitava in un palazzo di fronte alla sede) «ho visto volare dalla finestra la tua brandina e il tuo pigiama». Pensava che fossi morto nell’esplosione.
I compagni avevano sfondato la porta e lanciato all’interno la bomba. Non sapevano che nella sede ci dormivo sempre io. E per puro caso mi salvai”.
FONTE: Nicola Rao/Trilogia della Celtica
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