Io, avendo vissuto il 12 marzo a Roma, commetto l’errore a universalizzare quello che è un particolare per quanto rilevante. C’è stato un 12 marzo a Bologna, con un’insurrezione meno organizzata e più rabbiosa. A Torino, dove Prima Linea commette il suo primo omicidio politico, seppure non rivendicato. A Milano, dove pure il livello di scontro molto alto. Dalla pagina facebook il 77, riprendo questa testimonianza di Bruno P., un compagno milanese che ha partecipato a quel giorno di gloria
Anche se pioveva…quel 12 Marzo anche a Milano faceva caldo…..
Non eravamo rimasti in tanti a Milano, la gran parte dei collettivi se n’era andata dal giorno prima…. L’appuntamento principale in quei giorni, per il movimento del ’77 tutto intero, era la grande manifestazione indetta a Roma. Ma, anche in pochi, avevamo deciso di manifestare lo stesso. La morte di un compagno a Bologna, le autoblindo chiamate da Zangheri per presidiare la città vetrina del comunismo italiano, la manifestazione di Roma ci imponevano, quasi ci obbligavano a dovere scendere in piazza.
Anche se pochi, c’eravamo tutti: i comitati di Senza Tregua, quelli di Rosso, spezzoni di Lotta continua, il collettivo del Casoretto e i residui dei Circoli giovanili. Loro, i Circoli, erano stati per tutto il ’76, fino alla battaglia-disfatta della Scala, il movimento egemone politicamente a Milano.
Il corteo quel 12 marzo del ’77 non aveva nulla di allegro e festoso. Facce lunghe, incazzate. Tascapani pieni di bottiglie, e sotto gli spolverini intuivi e sapevi di armi. In un centro della città assolutamente vuoto e pieno di paura il corteo si muoveva con lentezza in cerca di obiettivi. Ma stavolta non si poteva trattare del supermarket da espropriare o delle solite guardie giurate da disarmare. Ci avevano ammazzato un compagno a Bologna e di fronte a ciò tutto ci sembrava inadeguato.Intanto, sopra le teste i soliti slogan pieni di rabbia e di rancore. Le mani di pochi in aria a simboleggiare la pistola.
Si era arrivati poco preparati, i «migliori», con relativo equipaggiamento, erano via. Ma si poteva stare fuori da un corteo nel ’77?
E allora dentro assieme agli altri. C’era voluto un po’ a rintracciare i ragazzi di Baggio, quelli della Siemens, Chicco con Bovisa. Non c’era uno che non avesse il fazzoletto sul viso. E poi ogni tanto di corsa giù per la cerchia dei Navigli. Fino a dove?
All’altezza di via Borgogna corso Monforte il corteo si era fermato bruscamente. Risalimmo velocemente per raggiungere la testa. E lì davanti a noi c’era la Prefettura completamente circondata da reparti dei carabinieri armati di Winchester. Tra i responsabili dei vari gruppi dell’autonomia un parlare sommesso. Chiesero a tutti se eravamo d’accordo nell’assaltare la Prefettura, con qualsiasi mezzo.
Ci bastò un attimo per capire che tutta quell’illegalità che tanto avevamo fatto perché fosse parte del movimento si stava per ritorcere contro il movimento stesso: l’uso della forza non era più al servizio di una contrattualitá conflittuale e violenta, ma stava per diventare dominio esclusivo di chi volesse abbandonare ogni possibilità di lavoro politico di massa per scegliere la linea del combattimento e della clandestinità.
Ma a quell’illegallità, in quel momento, subito, bisognava dare uno sbocco diverso dalla Prefettura, ma ugualmente violento. Una «via di fuga» evitando lo scontro micidiale con i carabinieri.
Quelli di Rosso volevano manifestare sotto l’Assolombarda, uno dei motivi per cui oggi siamo qui è la protesta degli operai della Marelli contro la ristrutturazione. Non siamo d’accordo per un attacco allo Stato, non è nell’interesse dell’autonomia». «Non li vedete i fucili dei caramba, è una pazzia!».
Un po’ di bestemmie, parolacce, spintoni. Finalmente il corteo reagì e si mosse. Era passata la parola d’ordine di andare all’Assolombarda. Un respiro di sollievo e nella testa la netta sensazione di essere in un casino di portata colossale. Eravamo arrivati a un vicolo cieco. Come venirne fuori?
Già eravamo di corsa per le strade in senso opposto, a sfuggire quello che la gran parte di noi quel giorno non aveva voluto. Rosso e quelli del Casoretto a tirare il gruppone. Finalmente davanti all’Assolombarda. Contro quel palazzo vuoto e pieno di vetri ci scaricammo tutto quello che avevamo. Molotov a volontà, pistolettate e colpi di fucile. E i vetri della «casa dei padroni» venivano giù che era un piacere. «Brucia, ragazzo, brucia!», lo sentivamo dentro di noi. Poi via di corsa….
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