Parla il blogger Tassinari: la cupola fasciomafiosa? Una tesi ridicola

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“Ma quale fasciomafia, questo è affarismo cialtrone, delinquenziale”. A denunciare la bolla mediatica che si sta costruendo sull’inchiesta “mondo di mezzo” è Ugo Maria Tassinari, giornalista che da anni indaga il mondo della “fascisteria” e dà voce anche a realtà e gruppi censurati e tenuti fuori dai circuiti informativi canonici. Il blogger Tassinari alla tesi della cupola non ci crede e ritiene che si stia facendo molto “colore” sulle ultime, sensazionali, cronache romane.

Tassinari perché non si può parlare di mafia?

Che è la mafia? È esercizio di un’attività economica attraverso l’intimidazione e la minaccia fisica. Non vedo queste caratteristiche in questo caso, tranne in un paio di episodi. Qua non si minacciava, qua sono tutti d’accordo. Questo è consociativismo semmai. Poi valuterà il tribunale: che siano emersi episodi di malcostume e corruzione è fuor di dubbio ma che esista una cupola mafiosa il cui capo è Massimo Carminati è una tesi che fa ridere.

Non è che c’è tanto da ridere però, ascoltando le intercettazioni

No, però bisogna andare al nocciolo della questione, tralasciando gli aspetti marginali, che magari colpiscono perché c’è l’ex Nar, per Romanzo criminale e tutte queste cose qui. Bisogna avere il coraggio di riconoscere che Salvatore Buzzi è una figura eminente delle coop rosse, Buzzi è un detenuto comune che si collega e si inserisce nel movimento che a partire dal convegno di Antigone del 1984 a Rebibbia permette di uscire dalla violenza degli anni di piombo non solo col pentimento, ma anche dando una speranza di reinserimento sociale ai detenuti. La cooperativa “29 giugno” nasce da quest’intento nobile e ha storicamente forti legami con i Ds e ha un referente che è il Umberto Marroni, figlio di Angelo, garante dei detenuti del Lazio.

Bè questo è emerso, nessuno lo nega…

Si però finisce per prevalere il fatto che ci sono quattro neofascisti dell’entourage di Alemanno, mentre il grumo affaristico sta nel network delle cooperative sociali “29 giugno” che è potentissimo e, nonostante i controlli più rigidi imposti da Bruxelles, ci tiene a mantenere il controllo.

Veniamo a Gianni Alemanno

Gianni Alemanno ha fatto lavorare quattro neofascisti, gente della sua comunità, lo ha fatto per geneoristà. Il suo è stato un peccato di generosità. Il problema non è Alemanno, il problema è il grumo affaristico trasversale che con le sue tossine fa ammalare il sistema democratico e civile.

Quanto c’è di neofascismo in questo grumo affaristico?

Nulla. Il patto affaristico va dalla destra alla sinistra, a Milano fa affari Greganti, a Roma fa affari Buzzi. Poi i media si avventano su Carminati perché consente di fare un affresco quasi mitologico, perché lui è il “nero” di Romanzo criminale.  Ma oltre questo il nucleo più profondo è questo pattuglione affaristico che sta in mezzo a chiedere favori, a mediare, ad arricchirsi, una macchina cancerosa ma comunque vitale.

Il “mondo di mezzo” di cui parla Carminati nell’intercettazione che abbiamo letto e riletto?

Una filiera che fornisci servizi di un certo tipo. Carminati ne è il capo. Carminati è un delinquente di una certa caratura, in cui c’è un elemento di soggettività fascista ma non è un boss mafioso. Anche gli affari di questa presunta “cupola”, se li vai a vedere, sono a bassa intensità di capitale, interessano un piccolo ramo delle opere pubbliche. Questi non mettevano le mani sulle grandi opere pubbliche.

Minimizzare tuttavia non è mai una buona strada…

Non minimizzo, sono preoccupato. La mia sensazione è che a Roma agiva una compagine di politici, faccendieri, manager e delinquenti che avevano costruito un organico capace di controllare uno spicchio importante di affari pubblici.

Storie di “ordinaria” corruzione? Perché tanta attenzione allora?

Perché parliamo di Roma, perché  Carminati è un personaggio di peso, perché Alemanno è stato molto visibile. Ma Alemanno non è certo un mafioso, è caduto in una rete. Tra l’altro va detto che i rapporti con un certo sottobosco prima li gestiva per conto di Alemanno un personaggio della caratura di Peppe Dimitri, che aveva anche un suo rigore e una sua etica, aveva un’autorevolezza che gli derivava dalla sua storia. Dopo la morte prematura di Dimitri, credo che Alemanno abbia perso il controllo della situazione.