Questo post è il frutto di un lavoro costante di arricchimento. Arrivato al terzo aggiornamento, per il quarantennale del delitto, è diventato decisamente arravogliato e quindi ho deciso di restituirlo in ordine cronologico
(umt, s.d.) Anche al delitto Dalla Chiesa si può applicare il rasoio di Occam. La spiegazione più semplice è che i Corleonesi ammazzarono regolarmente tutti gli uomini delle istituzioni che si opponevano efficacemente alla loro espansione: da Boris Giuliano a Cesare Terranova, da Pio La Torre a Rocco Chinnici, da Beppe Montana a Ninni Cassarà, da Giovanni Falcone a Paolo Borsellino. Per citare solo i più famosi. L’addebito specifico al superprefetto: la proposta di allargare all’antimafia i benefici per i ‘pentiti’. Ma anche l’indicazione di lavorare sulle piste del denaro. Con le perquisizioni contro uno dei santuari finanziari di Cosa Nostra, l’impero esattoriale dei cugini Salvo.
A chi dava fastidio il prefetto dalle armi spuntate? Il generale che lottò il terrorismo e fu spedito in Sicilia senza i poteri che chiedeva. Fu trucidato con uno spettacolare agguato, dopo appena 100 giorni, insieme alla moglie e all’autista. Un altro mistero intrecciato alla madre di tutti i misteri: il rapimento Moro, le trattative fra Stato e antistato per far liberare il presidente della Dc. Uno che quelli “non vogliono vivo”, raccontò il pentito Tommaso Buscetta. E quelli non erano né i mafiosi né i brigatisti, ma gli uomini delle cosiddette istituzioni.
Una tesi confermata anni dopo dal boss della camorra Raffaele Cutolo. Dalla Chiesa fu l’ufficiale che scoprì il memoriale di Moro, dettato nella prigione del popolo. Un documento enigmatico, ritrovato a rate: la versione integrale fu scoperta, forse casualmente forse no, soltanto 12 anni dopo il blitz del generale nel covo di via Monte Nevoso a Milano. Dalla Chiesa fu falciato il 3 settembre ’82, con i segreti di cui era custode. La sua borsa fu ritrovata dopo 31 anni nei sotterranei del palazzo di giustizia palermitano: vuota. Come vuota rimase la sua cassaforte, appena poche ore dopo la strage di via Carini. E ancora dobbiamo mettere insieme le tessere di quel puzzle, dopo 34 anni
Fonte: Gianmaria Roberti/Facebook
Questa mattina Chicco Galmozzi sulla sua pagina ha messo in comune un vecchio ricordo:
3 settembre 1982: ero nel supercarcere di Palmi, improvvisamente dalla sezione dei detenuti comuni partì una infernale battitura e sbattimento degli spioncini con accompagnamento di urla belluine che nemmeno l’11 luglio con la nazionale italiana campione del mondo.
Intorno all’omicidio del generale Della Chiesa e della moglie, Emanuela Setti Carraro, è fiorita una vasta letteratura più o meno dietrologica sulla necessaria esistenza di un “mandato” politico per il delitto eccellente. Non era, non è ritenuto motivo necessario e sufficiente il fatto che il generale fosse un nemico molto odiato e potenzialmente pericoloso.
Il post che segue è di qualche anno fa, ma ancora funziona
Ieri sera, sulla sua pagina di Facebook, Enrico Galmozzi rifletteva sull’omicidio Dalla Chiesa:
Per i corleonesi l”uccisione di Dalla Chiesa è stato l’equivalente del rapimento Moro per le Brigate Rosse: il punto più alto dell’attacco al cuore dello Stato.
Dove entrambi sbagliavano era nel non considerare che lo Stato non ha un cuore.
Solo tentacoli
Nel corso della mattinata due detenuti politici nelle carceri speciali volute da Della Chiesa, praticamente in contemporanea, hanno sollevato una questione interessante: come mai tra i tanti generali e alti ufficiali piduisti il superprefetto è l’unico che non ha pagato dazio?
Nessuno più dice che Della Chiesa era della P2 e che fu lui a convincere vari ufficiali dell’arma ad aderire. Che poi per questo ebbero grane che invece lui no. Non vuole essere un’accusa ad un uomo così barbaramente trucidato. Solo che in Italia tante cose si nascondono. Per quanto riguarda il suo gruppo speciale di antiterrorismo, ho avuto la brutta esperienza di avere una traduzione, da un carcere ad un altro, operata dai suoi uomini. Non la augurerei a nessuno. Riposi in pace.
Carlo Alberto Dalla Chiesa, oltre a molte altre cose, era un piduista. Pecchioli, che verso la fine ebbe una qualche resipiscenza, nella sua autobiografia per altro subito fatta sparire, dice che il PCI non aveva minimamente creduto alla sua giustificazione di essersi iscritto per “indagare” ma che tuttavia sembrava loro l’unico in grado di combattere il terrorismo. Tipo come in via Fracchia e come aveva già fatto ad Alessandria. ‘Possiamo essere più cattivi di loro” era il suo slogan. Anche più stronzi e bastardi.
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