[Un pezzo dell'autunno del 1994 per il “Lunedì di Repubblica”, il geniale fake-quotidiano di Vincenzo Sparagna]

I grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale, ci ha insegnato il Moro di Treviri, si presentano due volte: la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa. Nella società dello spettacolo, su eventi di più modesta entità, talvolta succede il contrario: la rappresentazione artistica anticipa la realtà e al tempo stesso ne è la parodia. Roberto Benigni, il raffinato e famosissimo attore comico, una volta all'anno si concede una comparsata televisiva, un moderato prezzo per mantenere inalterata la sua popolarità anche nel pubblico più grossolano. E ogni volta inventa un numero di alta scuola di buffoneria. Un paio di anni fa si scatenò nello show più ascoltato infilando una mano tra le gambe della conduttrice per poi esibirsi in una dottissima disquisizione sui cento nomi - i più bizzarri e fantasiosi - per definire l'organo sessuale maschile e il femminile. I più colti lo giustificarono citando la fonte, i sonetti romaneschi del Belli, poeta popolare dell'Ottocento. I più si limitarono a sbellicarsi dalle risate. Nessuno si permise di parlare di volgarità. Chiunque altro sarebbe stato sommerso dalle critiche. Nello scorso autunno, nel pieno della campagna di massa delle sinistre contro il governo Berlusconi, Benigni inventò una gag irresistibile. Sul palcoscenico del megashow del sabato sera, avendo come interlocutore il più noto conduttore televisivo italiano, Pippo Baudo, che è anche il direttore artistico della Rai, fece finta di essere stato in coma dall'inizio della campagna elettorale di marzo. Caro Pippo – attaccò il nostro straordinario clown - spiegami un po' cosa è successo dall'ultima volta che ci siamo visti. Quel signore pieno di debiti che voleva scendere in campo contro i comunisti che fine ha fatto? E Baudo secco: è presidente del Consiglio. Ma non hai capito - insiste Benigni - quello che gli arrestavano sempre il fratello per storie di tangenti... E' presidente del Consiglio. Due piroette, un frizzo, un lazzo e Benigni riparte all'attacco: E ora mi dirai che quel grassone che faceva il portaborse di Craxi e lavorava nelle sue televisioni è ministro. Parlava di Giuliano Ferrara europarlamentare socialista e ministro dei Rapporti col Parlamento. Il numero ebbe straordinario successo. Qualche giorno dopo due milioni di operai, studenti, impiegati e pensionati, uomini e donne, calano su Roma per la più straordinaria manifestazione sindacale della storia della Repubblica italiana. Obiettivo del corteo il no alla riforma capestro delle pensioni voluta dal ministro del Tesoro Dini, elemento di punta dell'ala più intransigente del governo Berlusconi. Di questa immensa folla è parte anche Fernando Domeniconi, 55 anni, operaio di linea all'Alfasud di Pomigliano, un grosso centro industriale dell'hinterland napoletano, solo venti anni di contributi e grande preoccupazione per il suo avvenire di pensionato. Fernando al corteo ci sarebbe comunque andato: il lavoro stabile l'ha trovato tardi, nel 1970, ma lui è comunista da sempre, prima nel Pci, ora da qualche anno nel Pds. Un militante operaio come tanti. Ancora eccitato per lo straordinario successo della mobilitazione, scendendo dal pullmann inciampa, sbatte la testa e va in coma profondo, ma per i medici c'è qualche speranza di salvezza. Parte così la straordinaria mobilitazione dei suoi compagni: hanno letto che qualche ragazzino si è ripreso dopo un grave incidente in moto ascoltando la musica preferita. E così per quasi due mesi decine di operai presidiano il suo capezzale, alternando i canti della Resistenza, i cori dell'Armata rossa e la lettura degli editoriali dell'Unità. Per sua sfortuna, quando Fernando si riprende, è di turno Gaetano Scognamiglio, l'operaio più fesso della cellula di fabbrica del Pds. E così, senza la prudenza necessaria, che sconsiglia di suscitare emozioni nel paziente, Gaetano subito lo rassicura: è tutto a posto, Fernando. A Berlusconi glielo abbiamo messo in culo. Ora il governo è nostro. Fernando, scettico per natura, collerico per temperamento, è convinto che sia una bugia pietosa, per consolarlo. Insiste, chiede chiarimenti e le risposte dell'amico lo irritano sempre di più: noi al governo con un giudice ministro degli Interni e un generale ministro della Difesa. E' impossibile: e il sangue gli sale sempre più alla testa. All'ennesima stronzata di Gaetano - e figurati che il nostro presidente del Consiglio è proprio Dini - una vena gli scoppia nel cervello. Un pensiero compiuto lo riesce a formulare con rabbia - allora siamo proprio fottuti - ma l'ultima parola gli si strozza in una smorfia di dolore e di disgusto che solo la pietà e la voglia di autoinganno dei compagni trasforma nell'ultimo sorriso. Per sua fortuna Gaetano Scognamiglio è un fesso. E ancora oggi, racconta al bar agli amici della morte di Ferdinando: Che compagno. Figuratevi che si era ripigliato perfettamente. E il suo primo pensiero è stato di chiedermi di Berlusconi. E per fortuna ce l'ho fatta a dirgli che il capo del governo era Dini. E' morto proprio contento. Mi stava dicendo allora siamo proprio forti ma l'ultima parola gli è rimasta in gola.
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