7 gennaio 1978/2: ad Acca Larentia la scelta delle armi diventa strategica a destra

La strage di Acca Larentia, due camerati giovanissimi uccisi da un commando della guerriglia rossa, un terzo da una pistolettata durante uno scontro con i carabinieri, innesca un dibattito rabbioso nell’area movimentista. Le armi hanno sempre circolato nella fascisteria ma stavolta diventano una scelta strategica. Sempre dal capitolo dedicato alla strage su Guerrieri (ed Immaginapoli, 2005). Qui la prima parte

Per Francesco Storace, che diventerà allora segretario giovanile della sezione martire subendo pochi mesi dopo un attentato a colpi di pistola, mentre attacca manifesti davanti alla sede Acca Larentia costituiva un autentico baluardo contro i gruppuscoli di estrema sinistra che tentavano di conquistare Roma sud. Colpire Acca Larentia significava per i rossi paralizzare l’attività dei nostri militanti. Per qualche tempo, subito dopo la strage, sono stato l’unico ad andare ad affiggere i manifesti, sempre da solo.
Guido Zappavigna, segretario del Fuan romano, racconta così il punto di non ritorno: Quei tre morti significavano l’attacco contro un quartiere proletario, da parte dei comunisti, ma anche da parte dello Stato. Con Bigonzetti e Ciavatta non si era voluto colpire il fascista pariolino, con le scarpe a punta, ma il fascista povero, che faceva militanza nei quartieri poveri. Sì, perché noi stavamo cominciando a cambiare. Ricordo che quando nel 1972 mi iscrissi al Msi parlavamo di patria, avevamo ideali validi, però non facevamo altro che andare nelle fabbriche, nelle scuole a picchiare la gente che non la pensava come noi. Eravamo sempre con il manico dei picconi in mano e il casco in testa a difendere le nostre sezioni. Poi le cose erano cambiate… Acca Larentia fu un colpo terribile. Tutti noi, dopo quel giorno, avremmo voluto prendere le pistole in mano. Non per vendetta. Ma perché si voleva arrestare la nostra crescita e il nostro senso di impotenza aumentava. Solo i pi_ decisi hanno fatto la scelta delle armi. Io non l’ho fatta, però li capisco. 
Per Peppe Dimitri, uno che quella scelta l’ha fatta, pagando un altissimo prezzo personale:
la lotta armata è cominciata pro­prio dopo Acca Larentia. Quel giorno è come se fosse crollata per noi qualsiasi tipo di speranza. A quel punto la cultura subalterna, la riserva indiana che noi eravamo si sente espulsa dal mondo. Li scattano soprattutto dinami­che psicolo­giche individu­ali e collet­tive, tre ra­gazzi di destra uccisi. Ma due li hanno eliminati i nostri antago­nisti di sempre. Il terzo è stato ucciso dallo Stato. A quel punto ci sen­tiamo davvero soli contro tutti 
Anche Paolo Lucci Chiarissi – oggi è uno dei tanti ex guerriglieri neri rientrato in Alleanza nazionale, anche se trascorre lunghi periodi all’estero come agronomo esperto di cooperazione allo sviluppo – rivendica la scelta generalizzata delle armi: Da Acca Larentia in poi le armi non sono pi_ episo­diche, diventano un fatto quotidiano. Tutti hanno sparato al­lora, tutti in quegli anni sanno cos’era una pistola. I vecchi fa­scisti, le madri, tutti solidarizzano con noi, perchéerano stati uccisi dei came­rati. Era crollato il Campo Hobbit, il nuovo obiettivo era sparare alla polizia”.
A differenza della sinistra dove l’esito combattente è spesso il prodotto di un lungo percorso di dibattito e di militanza politica, la scelta delle armi a destra nasce dal combinato perverso di un quadro politico sociale problematico e di spinte e pulsioni esistenziali: “Sdegnati di essere considerati il braccio armato dello Stato; insofferenti rispetto alla retorica nostalgica missina, che sfrutta per fini elettorali il sangue dei giovani camerati caduti ma soffoca le energie rivoluzionarie in nome dell’”ordine borghese”; sospettosi di ogni organizzazione del proprio ambiente, per le notizie che in quel periodo si diffondono riguardo a collusioni con i servizi segreti in nome di ipotesi golpiste; traumatizzati dal fuoco incrociato che li rende vittime dello Stato da una parte e dei “rossi” dall’altra, anche per i giovani di destra inizia la violenta e cieca contrapposizione frontale al sistema”. 
Molti dirigenti giovanili capiscono le ragioni politiche del partito e, sia pure con grande sofferenza, rifiutano la “via pù breve”. Maurizio Gasparri, allora segretario romano, ricorda: C’erano ragazzi distrutti dalla rabbia e dal dolore che si radunavano spontaneamente e che altrettanto spontaneamente alcune volte decidevano di rispondere con la violenza alla violenza. Il giorno di Acca Larentia … Almirante venne da solo con la sua 126, senza scorta, per dare la sensazione fisica di chi dice “io mi espongo ai rischi quanto voi”. Ricordo il caos totale, i nostri militanti che reagivano in maniera violenta, i disordini, i lacrimogeni. Come si poteva fermare tutta questa spirale? Non credo ci fossero delle soluzioni. Anche perchÈ se qualcuno di noi si azzardava a dire ai pi_ facinorosi: “ma cosa state facendo?”, correva il rischio serio di vedersi puntare contro una pistola dai suoi stessi militanti. 
Anche per Fini è Acca Larenzia e la sua tragedia lo spartiacque, un punto di svolta per la nascita di gruppi armati di destra. Perché, intendiamoci bene, prima di allora qualche fenomeno la avevamo avuto. A parte le cose macchiettistiche, come il cosiddetto golpe Borghese del dicembre 1970, ci sono stati gli anni in cui c’era chi pensava al colpo di Stato, circolavano vecchi cialtroni che poi finivano per diventare informatori del ministero dell’Interno. Ma Ë dopo via Acca Larentia che alcune frange minoritarie fanno il salto. C’è chi dice: “Difendiamoci prima che ci ammazzino tutti”. Ma questo senza un preciso progetto politico.                                              
Secondo Croppi sono evidenti le responsabilità del Msi nella deriva lottarmatista Negli anni 1976-78 l’estremismo di destra pi_ predisposto alla violenza non possiede una vera coscienza di sé. Esistono ancora i margini per un recupero alla lotta politica non violenta. Da parte della destra istituzionalizzata, purtroppo, c’Ë una sostanziale incapacità a comprendere questi fenomeni. Poi, all’improvviso, dopo Acca Larentia, il radicalismo più spinto fa un salto di qualità, tenta di darsi una propria ideologia e una ragione, e inizia un’opera di proselitismo. Si passa così a un’indicazione politica: lo spontaneismo armato. 
La strage divide, per la prima volta, anche l’estrema sinistra. Mentre Daniele Pifano per i Volsci conferma lo stereotipo rozzo dei compagni che non piangono per i fascisti, per Oreste Scalzone questo non è antifascismo. E’ da condannare lo sparare alla cieca, senza progetto.
E così i Nuclei la settimana dopo si giustificano imbarazzati con un secondo volantino: Il fatto che questa azione sia stata fatta da una componente del movimento e non dal movimento intero non colloca questa componente al di fuori dal movimento… Dal dibattito emergono due gravi carenze: la prima è una carenza di valutazione rispetto all’azione e a quello che rappresenta …La seconda è il dato di fatto della totale impreparazione del movimento rispetto all’antifascismo militante. 

Per approfondire

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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