15 giugno 1978: Giovanni Leone si dimette. Pagò la volontà di salvare Moro

Il 15 giugno 1978, dopo settimane di una campagna di stampa del tutto infondata lanciata dall’Espresso, il presidente della Repubblica Giovanni Leone cede alle pressioni politiche (il Pci e la dc concordano sulla necessità di un suo passo indietro) e si dimette. Oggi sappiamo che l’affaire Lockheed non c’entra niente. Il capo dello Stato deve pagare lo strappo con il partito della fermezza e la sua disponibilità a firmare la grazia per Paola Besuschio, la brigatista ferita al momento dell’arresto, provvedimento che, attuando quel “misura per misura” evocato da Bettino Craxi, avrebbe permesso di salvare la vita ad Aldo Moro.

L’evento, mai accaduto nella storia della Repubblica italiana, ma ormai atteso da giorni e ritenuto da tutte le forze politiche inevitabile, si è verificato ieri sera, pochi minuti dopo le 20: il Capo dello Stato, Giovanni Leone, si è dimesso. Il presidente del Senato, Amintore Fanfara, ha già assunto le funzioni di presidente vicario. Entro 15 giorni da ieri, il presidente della Camera, Pietro Ingrao, convocherà le Camere ed i rappresentanti delle Regioni, per eleggere il nuovo Capo dello Stato. Mai, forse, elezione di un presidente della Repubblica sarà tanto importante per la vita politica italiana. Nel corso dei prossimi giorni, soprattutto dal nome (o dai nomi) dei candidati alla massima magistratura dello Stato e quindi dall’andamento delle elezioni, si dovrebbe capire se la crisi, che si è aperta al vertice dello Stato, potrà essere circoscritta all’evento di ieri, comunque drammatico, oppure se si aprirà un meccanismo che attraverso ripercussioni sul governo, sulla segreteria de e sulla maggioranza nel suo insieme, potrebbe portare il Paese ad elezioni politiche anticipate, elezioni che tutti, oggi, dicono di non volere.Giovanni Leone si è dimesso al termine di una delle giornate più tese, drammatiche e convulse della vita politica italiana. «Se oggi mi sono deciso a compiere questo passo — ha detto in una dichiarazione diffusa in tv poco dopo le 20 di ieri — è perché ritengo assolutamente preminente su quello personale l’interesse delle istituzioni». «Infatti — ha voluto precisare Leone, che è apparso a milioni di italiani, stanco, avvilito, sfiduciato — finché le insinuazioni, i dubbi, le accuse hanno formato oggetto di attacchi giornalistici non suffragati da alcuna circostanza, ho potuto far pesare sulla bilancia la necessità di non drammatizzare, imponendomi un riserbo che mi è stato rimproverato come silenzio, che mi è costato amarezza e che risponde forse a tempi sorpassati». Ed ecco la frase-chiave della dichiarazione del Presidente: «Ma nel momento in cui la campagna diffamatoria sembra aver intaccato la fiducia delle forze politiche, la mia scelta non poteva essere che questa». E’ una frase destinata ad inasprire polemiche già aperte nel mondo politico; in sostanza Leone afferma di lasciare il Quirinale soltanto perché i partiti, che lo hanno eletto sei anni e mezzo fa, lo hanno abbando- nato. Proprio ieri mattina, in una intervista che il Capo dello Stato ha rilasciato all’agenzia «Ansa» e che non è stata mai diffusa, malgrado sia giunta sul tavolo di alcuni autorevoli leaders politici della maggioranza (di altri no, e la circostanza ha aperto anche un «giallo politico») Leone ha dichiarato che era pronto ad andarsene dal Quirinale solo dopo una motivazione di opportunità politica e non di giudizio morale. «A suo tempo — ha scritto il Presidente della Repubblica nell’intervista all’agenzia che pochissimi, a Roma, hanno letto — dissi che era opportuno eliminare il semestre bianco, ma il Parlamento non lo ha cancellato. Se adesso le forze politiche vogliono evitarlo si pronuncino chiaramente». Una considerazione che ha irritato i comunisti, spingendoli definitivamente a scegliere la via di una richiesta ufficiale di dimissioni. Al di là della polemica politica sulle dimissioni, destinata a dilatarsi sin forse oltre il momento dell’elezione del nuovo presidente, vi sono dei motivi « ufficiali » a monte del gesto, ai quali, del resto, Giovanni Leone fa un esplicito riferimento nel suo messaggio. Leone parla di « insinuazioni, dubbi, accuse che hanno formato oggetto di attacchi giornalistici ». Tutto è cominciato molto tempo fa, appena esplose il «caso Lockheed» che doveva portare, in un susseguirsi di vicende clamorose e dopo un drammatico processo a Montecitorio, due ex ministri della Repubblica davanti alla Corte Costituzionale.
Ma del «problema Quirinale», di voci di dimissioni prima della scadenza naturale del mandato, tra sei mesi, si è ripreso a parlare con insistenza tre settimane fa, da quando il settimanale « L’Espresso » ha lanciato una serie di accuse su presunti illeciti fiscali ed edilizi che avrebbero coinvolto Giovanni Leone ed alcuni membri della sua famiglia. Dei tre articoli, il più documentato e preciso è apparso l’ultimo, nel numero uscito due giorni or sono nelle edicole. Si parla di una presunta «immobiliare Giovanni Leone e figli»; si insiste, con dovizia di particolari, su presunte evasioni fiscali e su «società fantasma, su capitali che vanno e vengono ».
«Appena letta questa roba — ci ha detto Lucio Magri, segretario del pdup, mercoledì scorso — mi sono detto: “Adesso basta. Se non è vero niente, quelli che mentono devono andare in galera. Se è vero, o c’è qualche sospetto fondalo, Leone non può restare dov’è. Deve andarsene”». Di lì a poco, il Parlamento della Repubblica viene investito formalmente del problema Quirinale con una interpellanza dei deputati del pdup, alla quale si associano immediatamente due indipendenti di sinistra eletti nelle liste del pci. Scatta, sia a livello ufficiale, sia ufficioso, un «meccanismo» cauto e complesso, comunque inarrestabile, di contatti e colloqui al massimo vertice. Investono tutti i leader politici i quali, sia pure tra angosciosi interrogativi e dilemmi di opportunità politica ed istituzionale, ritengono che il problema non è più rinviabile e può forse risolversi in un modo solo.
Su quella notte tra mercoledì e giovedì scorsi corrono, a Roma, voci ed aneddoti a non finire, tra telefonate continue Palazzo Chigi-piazza del Gesù-Botteghe Oscure e visite improvvise al Quirinale. Si dice che Berlinguer abbia personalmente comunicato ad Andreotti la scelta che poi si preparava a prendere, non senza dilemmi. Si dicono tante altre cose su quella lunga, inquieta notte di questa Repubblica che non sembra aver pace, malgrado i tanti affanni, i continui sussulti. Ed eccoci al 15 giugno, giovedì, giornata davvero storica
Nella « sala stampa » di Montecitorio, che in queste circostanze è un «termometro», si ha subito la sensazione che qualcosa di molto grosso sta per avvenire da una voce, diffusa chissà da chi verso le 10, che l’Ansa, a mezzogiorno, avrebbe trasmesso una dichiarazione del Capo dello Stato. Attesa spasmodica di tanti giornalisti e pochi deputati. Ma, a mezzogiorno, fonti bene informate fanno sapere che il documento slitta di un’ora, e che non sarà più una dichiarazione, ma una intervista del Capo dello Stato, sempre all’agenzia Ansa. In quel momento, un uomo politico importante, Flaminio Piccoli, capo dei deputati dc, esce dal Quirinale dopo un colloquio privato, lungo e commosso, con Giovanni Leone. Piccoli si reca a piazza del Gesù, ed è subito ricevuto da Zaccagnini. A pochi metri di distanza, alle « Botteghe Oscure », è riunita la direzione del pci per il problema Leone. Ci sono tutti i leaders. Il dibattito è pacato, carico però di interrogativi inquietanti. Al pci si rende benissimo conto che le dimissioni del Capo dello Stato, in un momento come questo, soprattutto dopo la scomparsa di un temporeggiatore come Moro, possono scatenare un meccanismo che potrebbe anche ritorcersi per primo proprio contro i comunisti e contro il disegno di chi li ha voluti nella maggioranza. Si discute, in altre parole, degli effetti destabilizzanti di una simile iniziativa, di ipotesi di « spostamento a destra del quadro politico ». Ma si fa anche la considerazione, che assume sempre più spazio e «peso», che ormai, dopo quanto è stato scritto e detto, la posizione Giovanni Leone è indifendibile.
Nel pieno del dibattito, arriva — si dice — una copia della «misteriosa» intervista all’«Ansa» che il Quirinale avrebbe inviato al pci, alla dc, a palazzo Chigi, al psi e non ad altri partiti della maggioranza. (Romita, leader del psdi, ieri sera ci ha assicurato di non averla ricevuta). Nell’intervista, Leone avrebbe trattato, in modo molto minuzioso, tutti i problemi che hanno fatto esplodere la polemica sulla sua persona; tra l’altro, avrebbe risposto alle accuse di speculazione edilizia, evasione fiscale, e di rapporti in affari privati con i fratelli Lefebvre. Leone parla anche di manovre politiche. Precisa che, sin da quando era semplice rappresentante del popolo, si è sempre pronunciato contro il semestre bianco, proponendo in Parlamento iniziative per abolirlo. « E’ vero, questo è vero, lo ricordo benissimo», diceva ieri, nel «transatlantico», Sandro Pertini. Leone aggiungeva però che il Parlamento non è mai stato sensibile a tali iniziative; quindi, se oggi si fosse dimesso, abolendo in pratica il semestre bianco, avrebbe preso una iniziativa contro le Camere.
Appena letta, questa ultima considerazione avrebbe suscitato commenti sarcastici ed amari tra i leader del pci. Di li a poco, intorno alle 13 la direzione comunista annuncia ufficialmente la richiesta di dimissioni del Capo dello Stato. Il primo a lanciare la notizia è un cronista dell’agenzia «Adn-Kronos». L’annuncio viene fatto da Pajetta. I presidenti dei due gruppi parlamentari, Natta e Perna, dichiarano che «è opportuno un atto risolutore». Parla anche Giovanni Cervetti, e certe sue affermazioni suscitano polemiche reazioni tra alcuni suoi compagni di partito. A piazza del Gesù, dopo il colloquio privato con Piccoli, Zaccagnini riunisce la delegazione dc. Ci sono i presidenti dei gruppi parlamentari, Galloni, Gaspari, Bodrato. Arriva anche Giulio Andreotti. Un dibattito lungo, serio, pacato. Al termine, Piccoli dichiara: «La campagna di stampa contro il Presidente della Repubblica ha avuto punte indubbiamente inique, cariche di asprezza e, spesso, di superficialità. Resta il fatto — ha aggiunto Piccoli — che il Presidente stesso nella sua sensibilità, più volte manifestata in privato, scioglierà il problema in una espressione che sarà, certo, di grande dignità e di servizio al bene comune». Sono parole già abbastanza esplicite. Bartolomei lascia capire in modo più chiaro che anche la dc, «indipendentemente dalle decisioni prese dal pci », ritiene le dimissioni di Leone doverose, per avviare un chiarimento. Zaccagnini e Andreotti lasciano piazza del Gesù sulla stessa automobile: si recano al Quirinale. Qualcuno parla di colloquio separato, prima il Presidente della Repubblica e Andreotti; poi Leone e Zaccagnini. Altri, di incontro a tre. Comunque sia andata, è il momento cruciale quanto risolutivo della crisi che ha investito la massima magistratura dello Stato. Viene comunicata a Leone la decisione della dc, alla quale seguono, di lì a poco, quelle degli altri gruppi: il psi con Craxi, il pri al congresso con Biasini, i liberali con Zanone, i missini con una richiesta di Almirante di indagine parlamentare su Leone. Romita è prudente e molto preoccupato. Teme gli effetti destabilizzanti dell’iniziativa. Non nasconde l’ipotesi di manovre politiche. Si dice che il Presidente della Repubblica non sia riuscito a trattenere un lungo, amaro sfogo con i suoi interlocutori dc. Ma né Zaccagnini né Andreotti possono ormai cambiare opinione. Escono provati e tesi dal Quirinale, dove, di lì a poco, c’è la « troupe » del Telegiornale per preparare la registrazione di un evento ormai scontato, che si protrae ancora per qualche ora, sino alle 20, quando appare sui teleschermi il volto avvilito di un uomo amareggiato, che «risponde forse a tempi sorpassati ». Luca Giurato
La Stampa, 16 giugno 1978

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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