30 maggio 1975: attentato al manicomio d’Aversa, muore il nappista Giovanni Taras
Giovanni Taras è un operaio, nato a Torino ma residente a Milano, che nel 1975 ha appena 22 anni. Giovanni è detenuto nel manicomio giudiziario di Aversa, arrestato alla fine dell’anno precedente con l’accusa di trasporto e detenzione di esplosivo e partecipazione ad associazione sovversiva, poiché fa parte dei Nap, Nuclei Armati Proletari.
I Nap sono un’organizzazione clandestina nata dalle ceneri del movimento di detenuti comuni che hanno maturato in carcere una coscienza politica, “ Dannati della terra”, che sin dai primi anni Settanta è fortemente appoggiato da Lotta Continua. Il nucleo originario dei Nap nasce a Napoli, dagli extralegali più “duri”, sia dentro che fuori dalle carceri, con lo scopo di “o ribellarci o morire nelle carceri e nei ghetti”.
Nella loro breve vicenda i Nap subiscono una repressione feroce: torture, carcere duro o manicomi, uccisioni fredde e premeditate.
In questo contesto Giovanni Taras si ritrova, appena ventiduenne, detenuto nel manicomio giudiziario: il 30 maggio 1975 sale sul tetto dell’edificio per collocarvi un ordigno, che però scoppia accidentalmente e lo uccide. Giovanni ha con se una bandiera rossa con la scritta “Nap Sergio Romeo” (militante ucciso il 29 ottobre 1974 durante un conflitto a fuoco).
L’attentato al manicomio di Aversa si inserisce in una strategia di denuncia delle condizioni in cui erano costretti a vivere i detenuti all’interno di queste strutture: precedente importante è quello della morte di Antonella Bernardini, che nel gennaio 1975 era bruciata viva sul letto di contenzione del manicomio di Pozzuoli [la tragedia sarà l’occasione per chiudere il manicomio e trasformarlo in struttura penitenziaria femminile, ndb].
Anche “Il Mattino” sta portando avanti un’inchiesta sulla struttura di Aversa : le ottocento persone qui rinchiuse, suddivise per categorie (vi sono “infermi di mente”, detenuti in attesa di giudizio, carcerati riottosi che hanno protestato contro le condizioni del carcere e perciò sono stati spediti in manicomio), scontano la propria pena non in base alla supposta malattia, ma in base al reato commesso.
Vengono presentate denunce, testimonianze di ex internati e fotografie a prova della disumanità del trattamento all’interno del manicomio giudiziario di Aversa, ma nonostante questo la struttura continuerà a rimanere aperta.
FONTE: Miccia corta, il sito web di Sergio Segio
http://www.ilpopoloveneto.it/notizie/nordest/veneto/vicenza/2018/01/29/54766-memoria-generazione-vicentini-la-mia
nel caso venisse pubblicato, segnalo che la parte più interessante di questo “commento” è costituita dai volantini – allegati – del MAV contro la struttura manicomiale.
La lotta contro le varie istituzioni totali fu comunque prerogativa della Sinistra, mentre da destra si invocava ulteriore repressione, discriminazione, esclusione (o peggio…non mancavano i nostalgici dei forni crematori) per malati mentali, devianti, “antisociali”… O almeno per quelli di estrazione proletaria.
Invece per i borghesi depressi, compresi certi noti esponenti del neofascismo di allora (…esiste una documentazione, a disposizione, con nomi e cognomi) c’erano le cliniche di lusso, magari in Svizzera (analogamente a quanto accadeva per l’aborto)…