Nello scrigno del tempo: perché ho smesso di scrivere di fascisteria
E’ una domanda ricorrente, quella del titolo. E allora, poiché in questi giorni sto lavorando all’archivio del sito, vi ripropongo una riflessione vecchia di cinque anni e che conteneva in nuce tutti gli elementi che hanno portato al ” cambio di fase”, anche se poi ci ho messo altri quattro anni per passare all’atto:
Secondo Tassinari, “l’antifascismo è un’ideologia di sostituzione, un feticcio a cui aggrapparsi per supplire alla totale impotenza della sinistra. »Non lo ritengo superato – precisa – ma profondamente sbagliato come categoria per identificarsi politicamente.
Ovviamente non è neanche una categoria interpretativa della realtà nè tantomeno uno strumento cognitivo. D’altra parte – spiega ricorrendo a un paradosso – l’odierna violenza sociale, dagli stupri etnici al rogo di Nettuno, nella loro atroce insensatezza e ferocia fanno rimpiangere la violenza fascista o rivoluzionaria degli anni Settanta.
Manifestazioni estreme che pur nella loro rottura del patto sociale avevano un senso e delineavano, a modo loro, un barlume di speranza in un futuro migliore, assumendosi almeno il rischio brechtiano di farsi carico del male per raggiungere il bene«. Insomma, chiarisce, »trovo sommamente offensivo dell’intelligenza ma al tempo stesso pericoloso il tentativo di fare passare per ‘picchiatori fascistì i linciatori di Guidonia.Anzi, conclude Tassinari portando alle estreme conseguenze il suo ragionamento volutamente provocatorio, »per restare alle categorie politiche degli anni ’70, se il delitto del Circeo era ‘violenza fascistà, tale categoria va applicata al branco, e quindi agli energumeni che assaltano le gazzelle va reso l’onore e il titolo di “giustizieri proletari” e di “vendicatori antifascisti”.
Il testo è la sintesi del mio intervento al Morucci show a CasaPound (febbraio 2009). Lo ripropongo proprio ora, dopo gli omicidi di Ciro Esposito e di Silvio Fanella: per ricordare a me stesso prima che agli altri che le analisi e l’uso delle categorie interprative devono servire a comprendere la realtà anche nella sua mutevolezza fenomenologica, non certo ad ingabbiarla
Lascia un commento