Una mortalità elevata
[Una scheda pubblicata per il catalogo della mostra Settantasette, organizzata dalla Triennale per il trentennale. Il volume è curato da Marco Belpoliti]
Chi ha ammazzato più fascisti in Italia negli anni ‘70? Per la pubblicistica coeva – come nel paradosso della polemica antistalinista sui comunisti morti – la risposta era ovvia: i fascisti.
A Primavalle il rogo se l’erano appiccati da soli, il ragazzino dissanguato da una fucilata davanti alla sezione era stato vittima dei biscazzieri ‘amici’, un altro era stato punito per una “cantata” in carcere. Ci sono voluti parecchi anni, magistrati (spesso di sinistra) tignosi e le confessioni di qualche “pentito” per stabilire che molti “camerati” in Italia erano caduti vittime della violenza dei servizi d’ordine e dei nuclei combattenti dell’estrema sinistra, che spesso praticavano l’antifascismo militante come ginnastica rivoluzionaria, come preparazione o addirittura diretta candidatura all’arruolamento nei ranghi della lotta armata.
Anche oggi, però, che la verità storica è stata in gran parte ristabilita, e quei morti hanno trovato un senso e una collocazione nel più ampio quadro della guerra civile a bassa intensità che ha insanguinato l’Italia negli anni ’70, lungo la linea di fraglia segnata a Yalta, i conti comunque non tornano. A confondere le acque, infatti, concorre un aspetto originale dello scenario italiano. Perché a un certo punto, mentre in Europa si attraversa una fase di distensione e il Pci è giunto all’anticamera dei bottoni, una frangia significativa di militanti dell’estrema destra, per lo più giovanissimi, dichiarano guerra allo Stato e al sistema, per spirito emulativo dei coetanei di sinistra – che alla critica delle armi erano giunti sull’onda lunga di una formidabile insorgenza operaia, nani sulle spalle di un gigante – e non più come “guardia bianca” a difesa del capitale e truppe d’assalto del “partito armato del golpe” le cui attività stragiste insanguinano il Paese da Piazza Fontana alla galleria di San Benedetto Val di Sambro. E così ammazzano qualche magistrato, qualche poliziotto. Certo, con i compagni la guerra continua, ma almeno ci provano a sostenere che quella raffica nelle gambe di un gruppo di donne impegnate in una trasmissione autogestita in una “radio di Movimento” è il modo provocatorio di “proporre una tregua”, una strizzata d’occhio malandrina: avremmo potuto alzare il tiro… E’ ben presto evidente che i “guerriglieri neri” non hanno un progetto politico ma seguono il loro karma, trent’anni dopo i padri maledetti di Salò, a “cercare la bella morte”.
Anche scremando, però, il figlio del giudice che da solo, faccia al sole, va all’assalto di una volante e il detenuto che cade dal treno per scappare, il rapinatore che muore dissanguato dopo una sparatoria per non tornare in carcere e lo studente sorpreso ad addestrarsi al tiro, il leader di movimento massacrato di botte in Questura e trovato impiccato in cella e il combattente che si è suicidato sparandosi in testa ma nelle mani non ha tracce di polvere da sparo, beh, i conti non tornano.
Perché, alla fine, è ancora vero l’enunciato iniziale: a uccidere molti fascisti sono stati i loro camerati stessi. A volte per motivi seri, nella logica di un’organizzazione rivoluzionaria o di una banda criminale, a volte per ragioni apparentemente futili: e così le sentenze di morte parlano di un “confidente dei carabinieri e pederasta”, di una “soffiata che ha provocato la morte (o l’arresto) di un combattente” (sono almeno tre i casi), di una “sola” da 50 milioni, di informazioni poco precise per le rapine (e qui ci rimane anche la donna del basista ucciso), di uno “stile di lavoro poco corretto”. E’ una cosa importante, per loro, al punto che i Nar, principale gruppo armato della destra radicale, ci costruirà sopra una “campagna” rivendicando con un unico volantino l’uccisione del capo della Digos (con il suo autista) ma anche di traditori e “profittatori”. Non sono solo le donne – come recita la bella canzone di Mario Castellacci – ma sono loro stessi a non volersi più bene e a farsi tanto male da soli.
PS: dimenticavo i nomi. Nell’ordine i fratelli Mattei (figli del segretario della sezione missina) vittime di fuoriusciti di Potere operaio, “Cremino” Zicchieri (davanti al Msi Prenestino) colpito dalle Formazioni comuniste armate, Angelo Pistolesi, “giustiziato” dai Nuovi partigiani per aver partecipato a un raid omicida a Sezze Romano. E poi Alessandro Alibrandi, Riccardo Manfredi (un sambabilino che “faceva l’elastico” col carcere per reati comuni), Salvatore Vivirito (un avanguardista arruolato nelle bande armate golpiste), Lucio Gasparella (torinese), Nanni De Angelis (dirigente di Terza posizione), Giorgio Vale (Nar). Per finire con Ermanno Buzzi (condannato in primo grado all’ergastolo per la strage di Brescia), Mauro Mennucci Carmelo Palladino e Marco Pizzari (accusati per l’arresto di Mario Tuti, Vale e De Angelis), Pino De Luca (i “truffati” erano Alibrandi e Valerio Fioravanti), Cosimo Todaro e Maria Paxou, Francesco Mangiameli (un altro leader di Terza posizione ucciso a tradimento dai Nar). E ce ne sono ancora parecchi…
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