[Coccodrillo per la morte di Berlinguer, uno dei miei primi pezzi impegnativi]
Un segno del destino, quasi beffardo, la fine di Enrico Berlinguer. Per un leader politico che della lotta intransigente ad ogni mitologia aveva fatto un costume di vita e un elemento fondamentale della propria battaglia di militante, cadere sulla breccia, nel portare a termine un comizio elettorale, nel cuore di uno dei più aspri scontri all'interno della sinistra italiana, è quasi uno sberleffo. L'immagine della sua atroce sofferenza sul palco di Padova, la sua cocciuta volontà di finire il suo lavoro contro la devastante esplosione del dolore resterà a lungo nella memoria di molti, anche dei più accesi avversari politici.
Della sua ritrosia ad offrirsi alla società dello spettacolo, a ridursi ad immagine di consumo, contro il costume di altri che dell'uso sapiente dei media hanno fatto un elemento fondante del proprio successo, è già stato detto: eppure la sua vicenda in qualche misura per le sue modalità, a questa realtà allude.
Enrico Berlinguer è stato stroncato dallo sforzo e dalla tensione degli impegni di questi mesi drammatici: la convinzione -sua e del suo partito- che fosse in atto in Italia una pericolosa svolta autoritaria, gestita in prima persona da Craxi e dal suo governo, con le conseguenti asperrime lacerazioni nella sinistra e nel sindacato, lo hanno spinto a gettarsi a corpo morto nella battaglia politica, impegnandosi in prima persona nell'ostruzionismo parlamentare contro il decreto antinflazione -che era individuato come momento centrale di questo presunto attacco alla democrazia italiana- e poi nella campagna elettorale per le europee, a dirigere ed organizzare l'iniziativa del gruppo dirigente e del corpo militante verso una vittoria che stroncasse il pentapartito.
Noi non concordiamo con questa tesi eppure dobbiamo riconoscere l'intransigenza e l'onestà della battaglia politica di Berlinguer. La direzione del Pci, nel momento più doloroso dell'angoscia e della speranza delusa, ha ribadito la necessità di mantenere in campo tutte le forze nella battaglia politica, imponendo a tutti i militanti di eseguire le ultime volontà del segretario:" Continuate a lavorare...". Di lui si è detto -ed è una battuta che ha avuto larghissima popolarità- che si era iscritto giovanissimo alla segreteria del partito. E di questa leadership- cui era stato educato con cura ed amore da Togliatti e a cui era stato condotto con adeguata prudenza dall'interegno di Longo, che aveva risolto il conflitto tra le due anime del partito (la destra di Amendola e la sinistra di Ingrao) che oggi si ripropone- si è dimostrato degno.
Com'è tradizione nel movimento comunista internazionale, ha garantito la continuità della linea del gruppo dirigente attraverso numerose svolte: la teorizzazione del compromesso storico e la pratica della solidarietà nazionale, la proposta di un governo diverso e la svolta dell'alternativa di sinistra che si è insabbiata nelle secche dello scontro frontale con il Psi, fino alla chiusura di ogni respiro strategico nelle ultime fasi di opposizione radicale al governo Craxismo al fronte unito antifascista).
Di Enrico Berlinguer resterà traccia nella storia del partito comunista italiano - e non solo di quello- sicuramente per la rottura con il monolitismo del movimento comunista internazionale diretto ed organizzato dal Pcus: dall'intervista a Pansa nella campagna elettorale del 1976 in cui dichiarava che l'ombrello della Nato poteva anche costituire un ombrello per lo sviluppo di un'autonoma via italiana al socialismo, alla presa di posizione contro il golpe polacco, in cui affermava l'esaurimento della spinta propulsiva della Rivoluzione d'ottobre, il segretario del Pci, ha con caparbietà e determinazione, portato a compimento quella che è divenuta, nel corrente linguaggio politico, la "svolta".
Al di là dell'esplicita battaglia politica, portata avanti da una sparuta minoranza organizzata in sede congressuale, Berlinguer ha dovuto combattere contro la vischiosità mentale e la rigida memoria storica di un ben più esteso corpo militante il cui cuore continuava a battere ad Est. Con successo.
Di minore portata storica, ma pur assai significativo, a nostro giudizio, resta un suo altro contributo originale, che sicuramente scaturiva dalle sue corde più profonde, dal suo essere rigoroso e puritano e dalla sua concezione rigorosamente etica della politica. Parliamo della sua proposta del rigore, della sua "politica dei sacrifici", lanciata nell'epoca della solidarietà nazionale, che andava bene al di là di un'offerta di collaborazione e di assunzione di responsabilità da parte della classe operaia organizzata nel Partito Comunista, per il risanamento economico. Per Berliguer, attraverso la politica dei sacrifici, combinando rigore economico ed etico, la classe operaia si legittimava come nuova classe che esprimeva i generali interessi della società e affermava cosi` la propria egemonia.
Quei tempi sono passati e nel bilancio negativo della sua leadership - a giudizio di molti critici non malevoli- va messa la partita di un'occasione storica per la trasformazione del nostro sistema politico - l'onda lunga elettorale degli anni '75-'76 esprimeva infatti un'istanza di cambiamento che non è stata soddisfatta negli anni della solidarietà nazionale.
Eppure Berlinguer resterà con i suoi meriti e i suoi errori, con la grandezza della sua personalità morale e i suoi difetti, come un protagonista della vicenda politica italiana dell'ultimo ventennio.
NAPOLI NOTTE 14 GIUGNO 1984
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