Non è Mafia capitale: pare che li ho scritti io i motivi. Buzzi dominus, un sistema di venduti

Le motivazioni della Corte di cassazione sulla sentenza per il processo “Mafia capitale” confermano in pieno tutti gli elementi su cui abbia fondato la nostra critica e contestazione sin dal primo giorno per l’inesistenza dell’associazione:
1. il ruolo prevalente di Buzzi nel sodalizio;
2. la sua natura non mafiosa per la mancanza dell’esercizio neanche dell’intimidazione;
3. la affannata corsa di politici, amministratori e manager a offrire i loro servigi alla banda.

Anche senza associazione mafiosa, il quadro di quanto accadeva nella distribuzione degli appalti dei servizi del welfare capitolino è devastante. Tutto, dalla gestione dei campi nomadi, ai migranti, alla manutenzione del verde, era improntato a un “mercimonio” di pubblici funzionari, imprenditori e politici di Roma ’capoccia’.
Una folla di collusi che diceva ’sì al “sistema” messo in piedi dal ras delle cooperative sociali Salvatore Buzzi e dal bandito “nero” Massimo Carminati non per “paura” ma perché incapace di resistere al “vantaggio privato” che potevano trarre dalla svendita delle loro funzioni.

Smontati i cardini investigativi

Le 379 pagine della sentenza ’demoliscono’ implacabilmente l’indagine che era partita nel 2010 dai pm dell’era di Giuseppe Pignatone. Niente mafia, quindi: si trattava due ’semplici’ associazione a delinquere. Gregari e comprimari di una Roma in piena decadenza morale e gestionale non usavano armi e nemmeno l’intimidazione.

Per non mortificare i colleghi della Corte di Appello – che invece aveva riconosciuto il metodo mafioso – la Cassazione ha diramato una nota nella quale sottolinea che “alla fine è stata confermata la responsabilità penale di quasi tutti” per “gravi reati contro la pubblica amministrazione, oltre che per la partecipazione alle associazioni criminali” ribadendo “le precedenti decisioni di merito”. Il resto, scrivono gli ermellini, forse memori delle polemiche che si erano levate alla lettura del verdetto, sono solo condanne da limare, perché sui fatti non si discute più.

I rapporti li gestiva Buzzi

“Appare evidente, dalla sentenza di secondo grado, che non risulta affatto il ruolo di Massimo Carminati quale terminale di relazioni criminali con altri gruppi mafiosi”, rimarca la Sesta sezione penale. “Nessun ruolo era gestito da Carminati con settori finanziari, servizi segreti o altro; la gestione delle relazioni con gli amministratori era compito quasi esclusivo di Buzzi, avendo Carminati relazioni determinanti solo con alcuni ex commilitoni” di estrema destra approdati nell’organigramma del Campidoglio.

Insomma l’ex neofascista – condannato in appello a 14 anni e sei mesi, ora uscito dal carcere duro e detenuto in regime ordinario – non avrebbe avuto “contatti significativi” con il clan Casamonica, con quello dei fratelli Senese, con l’ex della banda della Magliana Ernesto Diotallevi. Buzzi, ai domiciliari da dicembre dopo 5 anni in carcere e una condanna a 18 anni e 4 mesi, tesseva la sua rete nei municipi e nelle giunte a furia di mazzette, cene e promesse di assunzioni.

Un sistema stabile di infiltrazioni

“Aveva creato uno stabile sistema di infiltrazione nelle istituzioni – scrive la Cassazione – in base a cui i Dipartimenti, i Municipi e gli altri centri di costo di Roma Capitale” per la gestione dei servizi, come prassi, facevano “ricorso sistematico alle proroghe non previste nel bando originario, e ad affidamenti diretti in favore delle cooperative di Buzzi”. Con buona pace della “libera concorrenza”: era un sistema blindato.
“Il gruppo di Buzzi, attraverso la remunerazione (sovvenzioni per cene ed eventi, assunzione di assoggetti raccomandanti, scambi di favori, vere e proprie tangenti) di politici appartenenti sia alla sua area di riferimento sia allo schieramento opposto, riusciva a sollecitare finanziamenti pubblici e poi in concreto l’affidamento dei servizi”.

Un asservimento soft

Questo asservimento, prosegue la Cassazione, avveniva in maniera soft: una parte dell’amministrazione comunale si è di fatto consegnata agli interessi” di Buzzi e Carminati che hanno “trovato un terreno fertile da coltivare”. “Quello che è stato accertato è un fenomeno di collusione generalizzata, diffusa e sistemica”, e anche gli imprenditori – osserva la Cassazione – hanno accettato” la logica “professata da Buzzi e dai suoi sodali, basata sugli accordi corruttivi, intercorsi tra funzionari pubblici e imprenditori, convergenti verso reciproci vantaggi economici”.

Per la sindaca Virginia Raggi, la “Cassazione conferma che mondo di mezzo si spartiva gli appalti a Roma grazie a una ’collusione generalizzata’ con la politica. Confermata anche presenza clan sul territorio. Noi abbiamo invertito rotta, contro corruzione e mafia, sempre a fianco dei cittadini onesti” scrive su Twitter.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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