La Procura: Nizza, un attentato jihadista
L’attentato di Nizza, “anche se non è stato ancora rivendicato, corrisponde esattamente agli appelli di omicidio delle organizzazioni terroristiche islamiche diffusi sulle loro riviste” e sui media, ha detto il procuratore Francois Molins. Così, anche se non sono emersi legami organizzativi tra l’autore del più grave omicidio di massa (persone uccise in un solo luogo e tempo: il record precedente era di Breivik in Norvegia) e i network dell’Isis, la Procura avalla la pista dell’attentato jihadista. E in effetti, sia pure su scala minore, la ‘car jihad’, la tecnica cioè di usare un autoveicolo per portare un attacco terroristico non ha esordito ieri a Nizza, ma è stata adottata più volte in passato, così come è adottata anche in Israele dagli insorgenti palestinesi.
A proporla come tecnica è stata una precisa ‘fatwa’ lanciata nel settembre del 2014 dal portavoce dello Stato Islamico, Abu Muhammad al Adnani, che invitava a colpire gli ‘infedeli’ con qualunque mezzo a disposizione. “Se non siete in grado di procurarvi un ordigno esplosivo o una pallottola – disse Adnani – allora scegliete un infedele americano o francese o qualunque altro loro alleato e rompetegli la testa con una pietra, o accoltellatelo, investitelo con un’auto, buttatelo giù da un’altura, strangolatelo o avvelenatelo”. Almeno tre i precedenti. Nel maggio del 2013 a Londra, due attentatori di origine nigeriana si scagliarono con la loro auto contro un soldato dell’esercito britannico per poi infierire sulla vittima con un’arma da taglio. Il 20 ottobre 2014 in un sobborgo di Montreal un 25enne canadese convertitosi all’Islam ha volontariamente investito con la propria auto due militari canadesi, uno dei quali è rimasto ucciso mentre l’altro soltanto ferito.
Iil 20 giugno 2015 un 26enne austriaco di origine bosniaca si è scagliato a Graz con la propria auto sulla folla per poi iniziare a pugnalare i passanti. L’azione, che ha causato tre morti, era stata in un primo momento addebitata allo stato psicopatologico dell’uomo. Anche Mohamed Bouhlel, ora sappiamo, ha alle spalle una storia di depressione ma la capacità organizzativa e la fredda determinazione dimostrate confermano che se di lucida follia si è trattato l’aggettivo prevale di gran lunga sul sostantivo.
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