Estate 1992: una lettera aperta di Oreste Scalzone a Francesco Cossiga

La riflessione e la discussione intorno al decennale della scomparsa di Francesco Cossiga sono state indirizzate dallo scoop intelligente di Giovanni Bianconi sul dialogo tra Cossiga e i terroristi detenuti. Non erano lettere propriamente inedite, né ignote ma sicuramente la storia raccontata era interessante. E’ stato bravo Paolo Persichetti a entrare nel merito ricostruendo il disegno politico del “picconatore”.

Quello che invece vi propongo è un autentico inedito. Tirato fuori dallo sterminato deposito dei materiali del cantiere OS. Un testo ancora incompiuto. La traccia più evidente è nel passaggio da un discorso argomentativo alla formula “lettera aperta”. Probabilmente avevo assemblato due diversi materiali, un attacco di un pezzo di “riflessione” e un brogliaccio molto avanzato di una lettera aperta, in vista di una eventuale pubblicazione su Frigidaire. In attesa di un lavorio finale di editing. Il risultato finale avrebbe dovuto rappresentare uno dei capitoli di “Extrema ratio”. Tra i diversi libri “non scritti” con Oreste Scalzone sicuramente quello che più era vicino alla realizzazione. La datazione è abbastanza facile: estate-autunno 1992.

Riproporlo oggi, pur con tutti i suoi limiti formali, ha un senso molto preciso: certificare che a certe conclusioni Oreste era arrivato in abbondante anticipo sulla compagneria.
P.S: Può essermi sfuggito qualche errore ortografico, figlio delle conversioni tra diversi linguaggi macchina e archiviazioni varie. Ve ne chiedo scusa, soprattutto a Oreste, per tutti gli elementi grafici “sovrasegmentali”” con cui arricchisce i suoi testi e che si sono persi strada facendo …

Uomo di stato e gattopardo

Cossiga è l’unico, nel “Palazzo” e dintorni, fino alle sue più lontane propaggini, casematte, scantinati, stalle, scuderie, alloggi dei cortigiani e della servitù , ad aver detto in modo chiaro e senza contorcimenti alcune cose:

– che Renato Curcio ha da essere liberato;

– che ciò che implicita, nella forma dell'”emergenza” e delle leggi d’eccezione, veniva riconosciuto per poter punire in modo speciale, specialissimo, o per poter elargire impunità in modo altrettanto antigiuridico e a/morale, sulla base del solo criterio della ‘ratio’ politico-militare del Potere e cioè che noi eravamo dei sovversivi e dei nemici politici, e non dei terroristi e men che mai criminali.

Va finalmente detto da parte dei pubblici poteri quando questo stesso ‘identikit’, cessate le condizioni che configuravano uno stato d’eccezione’, deve concorrere a legittimare una costituzionalissima misura e decisione politica, una misura liberatoria e di correzione di clamorose iniquità che l’emergenza, nelle sue due successive ‘campate’ e in particolare nel suo coronamento “premiale” ha prodotto, e consolidato. Cossiga va dicendo che sarebbe odioso, insensato e fondamentalmente illegittimo e delegittimante prolungare una menzogna che si legittimava sull'”emergenza” .

In questo, è uomo di Stato e forse ancora “gattopardo” se, a differenza di tutti i demenziali mariuoli del Palazzo che lo vogliono far passare per matto, e invece dovrebbero ringraziarlo, dopo un mezzo secolo da uomo del regime dei partiti e della Democrazia Cristiana, ha scoperto il senso dello Stato e mostra di sapere che così come una Repubblica Islamica non può mettersi a commerciare alcoolici, e alla lunga non potrebbe ‘tenere’ questa contraddizione esplosiva con i suoi propri enunciati criteri di legittimità , ugualmente, poiché lo Stato si definisce per un intreccio di forza e legittimità , a differenza di quanto pensano sia gli “estremisti infantili” sia i mafiosi, e in parti colare quelli che passano dalla prima alla seconda posizione e convinzione voltando e rivoltando una giacchetta che, sconsolatamente, è sempre la stessa, non si può a lungo reggere uno Stato che afferma di fondarsi sulle regole del Diritto e i criteri liberaldemocratici se al principio a man, a vote si sostituisce quello “a ciascuno, la sua regola” in senso attivo e passivo.

E dunque anche “a ciascuno, i criteri che decidiamo noi sulla base dell’amicizia e dell’inimicizia” , trasformando le garanzie in privilegi e rendite di posizione, corporativizzando, tribalizzando e personalizzando i “diritti”, le regole del gioco, i premi e le pene, ‘tout en continuant’ a pretendere di legittimarsi sulla base dell’astrazione statale, giuridica e giudiziaria, democratica….).

Lettera aperta

Comunque, questo parere Lei ha la libertà e la responsabilità di non rinnegare, anche ai miei occhi: una posizione a me nemica, ma non manifestamente insensata o sconcia, e in qualche modo all’interno di regole del gioco che si potevano conoscere, e non che sono enunciate a trucco, a intermittenza, usate in modo alterno, arbitrario e retroattivo, anomico, truffaldino e osceno), legittima dunque dal punto di vista e in ordine alle ‘ragioni’ della Ragion di Stato, di Politica e Guerra, dallo ‘stato d’eccezione’, anche quando le sue condizioni congiunturali sono manifestamente venute meno: altro che lo stato d’eccezione in tempo di pace di Fidel Castro!

Le danno del matto, Presidente, perché Lei segnala che rendere normale lo “stato d’eccezione” costituisce una flagrante contraddizione in termini e in concetti, degna del paradosso di Epimenide sul Cretese bugiardo… E i peggiori sono i chierici, colpevoli non già di “tradimenti”, ma di continuare implacabilmente a non tradirsi mai, nel mentre che voltano e rivoltano sempre la stessa giacchetta… (e se sono “in buona fede” ancor più grave, perché per dei ‘savants‘ che divorano foreste perché gli alberi si trasformino nella cellulosa dei libri che leggono senza capirli né metterli in equazione col reale, e che scrivono senza sapere cosa dicono, all’unico fine di consumare la loro miserabile vita “tirando quattro paghe per il lesso”, e facendosi mantenere come comunisti, neo-anticomunisti, vetero-neocomunisti o neo-vetero comunisti, per della gente che lo status di “intellettuale” esenta dal lavoro manuale e quello di “uomini supposti sapere” mette al disopra dei comuni proletar-mortali, che per sfidare la morte non possono far altro che figli, e non carta stampata, per questi uomini l’ignoranza – come dicevano Nietsche e Benjamin – è una colpa. Imperdonabile. Più che un errore, un crimine, e peggio che un crimine, e oltre, anche un errore…).

Lei ha qualche ragione, Presidente: perché siamo in presenza di gente che ha campato nell’universo della rappresentanza – politica e/o politico-culturale o mediatico-politica – tirando stipendi immeritati per insegnar Diritto (!?) nelle Università a spese del contribuente, e – cosa assai più grave – lucrando sulle passioni autentiche e sui “bollini” dei proletari comunisti che imbonivano col loro ‘latinorum’. Insegnando loro che non c’era altro comunismo possibile di quello “reale” che sarebbe nato dal “socialismo realmente esistente”, frutto dalla coniugazione fra un comunismo statalista, produttivista, poliziesco, ‘machista’, colonialista e così via e l’accumulazione del capitale. Dicendo che quelli che parlavano di un “altro comunismo”, il comunismo come movimento, il comunismo possibile della comunità, delle singolarità umane intravvisto da Marx erano dei pidocchi da schiacciare e cancellare dalla storia. E oggi pretendono di tirare le loro paghe. Chi dal fatto che dimostra, in perfetta continuità, che “tertium non datur”, che ogni discorso altro follia criminale e/o infantile vagheggiamento, e che – escluso il terzo incomodo – quello che passa la Storia il capitalismo reale , e va bene così. Chi dal nuovo ruolo di strip-teuse dei suoi timori, tremori, e maldipancia, e dal monopolio di un “altro comunismo” finalmente scoperto, ma scippato a quelle migliaia di altri comunisti concreti che sono finiti nel Gulag, o ammazzati e “cancellati” da quel comunismo geo-politico, economico e poliziesco che gli pagava lo stipendio in precedenza; e chi vuole barattare un salario rubato in nome della rappresentanza del “senso della Storia”, della riuscita dei Piani quinquennali e degli Sputnick, per uno dovutogli come compenso per l’interpretazione nel teatri no e nel supermarket delle idee, mercato delle parole e fiera delle vanità, di un imparaticcio realizzato in fretta e furia di ‘culture’prese in prestito dai fondi di magazzino della libreria di Freda (la grandezza della sconfitta, la fedeltà e l’onore, il controcorrente rispetto al senso della Storia – insomma, “…questo mondo che/non ci vuole più….).

Devo fermarmi qui, signor Presidente. Se no riparto con un “work in progress” autocostruttivo/autocorrettivo/autofagico, con una superfetazione di discorsi, digressioni e meta-discorsi, a scatole cinesi e in fuga di specchi. E soprattutto, con l’effetto-quasi tela di Penelope, dato il prodursi continuo di effetti di retroazione che, ad ogni “scoperta”, rimettono in discussione le premesse…

Le riscriverò, Le invierò tra qualche giorno il numero del mio ‘samiszdat’ IRIS, che comparirà in Ottobre nel marsupio del nuovo mensile in edicola “Tempi supplementari” , che, come tutti i “tentativi a mezzo stampa” del mio amico Sparagna, esce a dispetto di quella vera e propria “sacca di socialismo reale” che il sistema della lottizzazione partitocratica, micropartitocratica, correntizia dell’informazione, da quel sistema di grandi, piccole e micro-“Pravde” che costituiscono l’equivalente multi-partitocratico e multi-corporativo di quello che era il sistema del Partito unico e dell’Unione degli scrittori: sistema che, se possibile, è una caricatura della “libertà di stampa” ancor peggiore di quella che i meccanismi feroci della finanza e del denaro determinano nella peggior ‘jungla’ neo-liberale…

Le scriverò, ora che l’ho eletta provvisorio “amico” nell’accezione schmittiana del termine (rispetto a Curcio, alla de-criminalizzazione e alla soluzione politica amnistiale per la “generazione degli anni ’70”), e soprattutto ora che la riconosco come unico futuro “hostis justus”, nemico legittimo, all’interno del Palazzo, dintorni e dependances.

Io, che non le ho mai scritto – a differenza di tanti “guappi di cartone” di prima poi andati a Canossa e pronti ai più osceni andirivieni tra “guappara di cartone”e Canosse – alcuna petizione, e che non ho mai fatto né farei alcun atto di sottomissione, mi prendo la responsabilità di rivolgermi a Lei, oggi, su un piano di formale parità. Quella – si parvissima licet componere magnis – di Diogene ad Alessandro che in piedi davanti alla sua botte gli chiede di cosa abbia bisogno risponde: Che ti sposti un po’, per non schermarmi il sole…

Se lei perderà, com’è possibile, mi va bene renderLe – fuori di ogni cavalleresca romanticheria – omaggio. E comunque, l’ultima parola non è detta. Spero che Lei vinca questa partita: per Renato; per gli altri murati vivi nelle celle da un establishment da Coena Trimalchionis; con un minimo di decenza – come dire – epistemologica, per voglia di non arrendermi all’ ‘orma dei passi spietati’ di una catastrofe del ‘mentale’, antropologica, che si sente avanzare nel doppio movimento della pasoliniana (o, se vuole, niet – e, in questo, in sintonia, a dispetto dei faraoni e dei chierici, degli interpreti e dei becchini, marxiana e freudiana) omologazione ; per scommettere sulla possibilità che possa vivere ancora lo scampolo di speranza rappresentato da quella che Deleuze definisce come “morale provvisoria” – tentare di esser degni – nel senso nicciano del “rispetto di se stessi” – di ciò che ci accade…

Interessi privati non ne ho, anzi – visti gli uomini e i tempi -vado a prendermi rischi d’ogni tipo; ma non mi importa più di tanto perché l’unica forza che ho è quella di chi sa, in un certo senso da sempre, che alla fine c’è talmente poco, al limite del niente, sia da perdere che da guadagnare. E a cui pertanto – poi che non è mai stato “un sognatore di una vita riuscita” e ha scommesso e lottato con disincanto, e per questo è vaccinato dal disfattismo e dal cinismo – la vertigine del fallimento, il timor panico di ritrovarsi un “fallito”, non passa nemmeno per la

testa. E che poiché – forse per vizio e handicap, non per santità o comunismo – quello che poteva dare lo ha dato a piene mani, oltre il limite del dissipabile, “joycianamente”sereno perché non ha da temere che qualcuno possa rubargli qualcosa…. Pensino quello che vogliono, anche dalle mie parti; come puntualmente in questi dieci anni, le cose si vedranno – per chi lo vuole – alla distanza…

Per ritornare dunque alla cronaca o, se preferisce, alla cronaca nera.

Lei sembra l’unico nel “Palazzo” a mostrare di non confondere più Stato e mafia partitocratica. Per questo, per me, lei , schmittianamente, amico “tattico” di oggi, e probabilmente nemico “strategico” di domani.
“Amico”, nella misura in cui tengo rispetto al Politico l’atteggiamento di chi, pur augurandosi che il poker scompaia dalla faccia della terra e dopo aver provato a rovesciarne il tavolo, per motivi tutt’altro che misteriosi e oscuri, ma dichiarati, sia costretto e deciso a non fuggirne, ma a sedervisi per il giro di qualche partita.

Come converrà il Suo amico Miglio, in questo caso conviene che – se deve giocare – si ispiri e attenga alle regole del gioco, cercando di giocarle al meglio, cioè essendo – se possibile – più temibile degli altri…

Ecco: io so, ho imparato fino in fondo, che politica e autonomia – o, se si vuole, governo e autogoverno – sono come il sole e la luna, e che il venirsi costituendo della seconda implica e comporta il deperimento della prima (aggiungo, che ritengo che la seconda sia comunque un risultato , e non già un dato, e sempre di più,ma di questo si parlerà ‘altroquando’ e altrove, così come dei tentativi di risolvere questo rompicapo, tra “soggettività” e sua auto-relativizzazione, tra “auto-costituzioni” e “auto-dissoluzioni”. e poi questa, questa sì “roba nostra”, a lei mi pari interessi il governo, e non l’autonomia; la democrazia, e non quella che potremmo chiamare “ekasto-panto-crazia” ; la forma societale , e non la comunità umana delle singolarità autonome ; il nesso Stato/società civile, e non la co-autonomia, o altrimenti devo pensare che si è convertito alla rivoluzione – sociale, totale, antropologica – in senso, innanzitutto, marxiano, e mandarLe la tessera del circolo “i Comunàuti” e del reseau “IRIS” !.

Mai più, dunque, lascerò passare – per quanto nelle mie modestissime forze e modeste capacità – la mistificazione di un nesso (fondato su un equivoco e una riduzione metonimica), tale quello espresso dai sintagmi “politica rivoluzionaria” o “rivoluzione politica”.

Ritengo di collocare, riqualificandola ed estendendola, ogni mia forma possibile, presente o futura, di riflessione, nel drittofilo (poi spezzato e interrotto) della critica della politica , del ‘Politico’ e delle sue proiezioni omologiche e mimetiche, della “alienazione politica” in ogni sua forma e variante; e di battermi per una consapevolezza di questa alienazione, come condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per poter sperare di fuoriuscirne.

Epperò ritengo che poiché la critica, la contestazione e la lotta sono tutt’altra cosa che la rimozione, la dimenticanza o la fuga; e poi che alcune poste in gioco che non so n voglio dimenticare o rimuovere mi obbligano a misurarmi col ‘Politico’, nella sua forma più ‘hard’ di “campo della Decisione politica”, tento di organizzare alcune incursioni corsare su quel (codesto, signor Presidente, a tutt’oggi!) terreno. Come chiamarlo? “politica antipolitica”, come diceva Havel altroquando? “Critica militante, in forme politico-mediatiche del Politico”? “Trans-politico”? “Para-politico”? Poco importa. Certo, con il senso di straniero alla Paolo di Tarso a Corinto”…

Per questo Lei – congiunturalmente – “amico”. Per questo, strategicamente, probabilmente “nemico {riconosciuto come} legittimo “. Tutti gli altri, della nomenklatura politico-statale o della società politico-mediatica, sono purtroppo (salvo qualche eccezione che conferma la regola) sul primo terreno dei “nemici” e sul secondo dei “nemici illegittimi”.

Loro, gli agiografi al dritto e al rovescio dell’ ultra-capitalismo da “fine della Storia” (chi per intrupparvisi nel suo treno, chi per travestire da sconfitta il proprio fallimento, così nobilitandolo…). I portatori di un’ideologia, una cultura della “guerra giusta” (il cui fondamento manicheo e razzista reca in corpo – come limpiodamente spiega Schmitt – la conseguenza liminare del disinvolto accesso allo sterminio…). Capaci di interpretare “ontologicamente” un ruolo “schmittiano” pretendendo di proporlo come “kelseniano” (grande mistificazione questa, summa injuria, ben peggiore – sul piano intellettuale, sul terreno, per così dire, della “moralità epistemologica”, della perversione euristica – dello stalinismo o del nazismo: e se non ha prodotto altrettanti orrori materiali solo per “imperizia delle membra” e virtù delle circostanze!).

Nemici indecenti sono per esempio questi fabbricatori di un’ideologia, una cultura, una ‘koiné’ eteroclita, un ibrido di elementi di stalinismo, nazi-fascismo e totalitarismo universalista, civilizzatore, mercantilista e democratico! (sembrano ’boutades’ ma proveremo a dimostrarlo, Presidente, in un libro su questi autonominatisi signori di una ragione disertata e violentata, che sono gli intellettuali organici, gli eredi dei ‘clercs’, così ritraibili “a tutto tondo” nell’evidenza-limite del ‘caso italiano’!).

Per rivenire ai “particolari in cronaca”. Voglio dirLe tre cose:
– La nudità del Re che si affaccia al balcone ha dell’innocenza.
– “Non m’interessa di dove vieni, ma dove vuoi andare”.
– Dopo aver sognato anch’io di tornare alle origini e venire a fare il ‘remake’ del luglio ’60 contro di lei, credo di aver capito il senso di questa sua pretesa “folla”.

Facendo per una volta il “dietrologo”, mi pare solare che tutto sia cominciato quando Andreotti ha fatto le prime grandi manovre di apertura di una campagna elettorale lunga per il Quirinale, tirando fuori dal cilindro il coniglio di “Gladio” per tesserci sopra la necessaria alleanza con il PCI/PDS per la sua elezione a Presidente. In questo schema, Lei doveva pagare il conto, e Andreotti non mi pare tipo da versar lacrime sulla pelle di qualcuno, non più di quelle che ha versato per Moro.

In un primo momento l’affondo, l’ “apertura”, la ‘mano tesa’ l’aveva rivolta ai “post-comunisti”, andando perfino a tesserne le lodi a Buckingham palace (anche sulla base di un’intuizione forte sul fatto che la fine del bipolarismo di Yalta e della coppia critica “comunismo geopolitico/anticomunismo”, “campo socialista/Occidente”, nel procedere del “domino” avrebbe investito e inghiottito, dopo i regimi dell’Est, la Repubblica italiana per prima).

Si trattava infatti di un ‘caso’ ‘di frontiera’, un regime politico-sociale connotato da un’economia mista frutto di un mega-compromesso ‘de facto’ fra corporativismo, ‘lavorismo’ nazional-popolare e keynesismo in versione mafiosa; regime partitocratico “architravato” su un compromesso costituzionale, alternante lottizzazione e conflitto, fra i due fratelli/nemici del “bipartitismo imperfetto” che si adattava, come una scoliosi, al peso della surdeterminazione costituita dal “fattore K” e dalla conseguente “dottrina-Sonnenfeld”, e si esercitava come spartizione fra una potenza superiore, che riserbava per sé l’Esecutivo, e una a cui era data in concessione l’egemonia sulla società civile e il controllo del conflitto, già molto prima del “compromesso storico” propriamente detto,

Con una “confliggente complementarietà” fra le due rispettive legittimità: quella nazionalpopolare e ‘lavorista’ e quella della difesa del “mondo libero” e del “libero mercato”, che evoluta fino alle conseguenze liminari della “democrazia consociativa” e della concessione al PCI berlingueriano del ruolo di rompighiaccio dell’austerity e della normalizzazione autoritaria del conflitto, di polizia sociale e poliziesco-giudiziaria, dandogli in, cambio le perline di un’eversione nera, nero-grigia, piduista e mafiosa da reprimere con gli stessi metodi, e poi licenziandolo senza tante scuse e gettandolo come un limone spremuto quando aveva finito il lavoro “a sinistra” e bisognava farlo smettere di giocare col ‘pendent’ offertogli come offa….).

Aveva offerto una “pacificazione”, una esplicita “chiusura dei rispettivi armadi”, che togliesse al Grande Burattinaio Andreotti il suo potere di veleno e di ricatto. Avrebbero dovuto sentire le avvisaglie e il freddo sulla schiena, riconoscere il proprio interesse come – in questo, almeno, non era certo un incapace – aveva fatto Togliatti all’epoca della “sua” amnistia.

Accecati invece dal “dietrismo”, non si sono accorti che si avventavano tutti sull’esca e lo straccio rosso agitate da Andreotti a uso di tori e pesci d’ogni taglia e tipo, e non si sono accorti che, mentre cercavano trame, ballavano tutti su un quattrino la musica del burattinaio Andreotti e cercavano quel che lui voleva far trovare….

Oggi dicono che vuole insabbiare non so che. Io non faccio processi sommari, sia per principio garantista e personalista che per rifiuto “marxiano” di antropomorfizzare volgarmente i sistemi sociali e di attribuire leggi di movimento al naso di Cleopatra. Non foss’altro che in nome del pensiero critico e dell’autonomia di contestazione e di lotta che ho creduto di apprendere innanzi tutto da Marx.

Non penso in termini – razzisti e manichei, che possono produrre come frutti l’opportunismo fino alla delazione e il cinismo fino al genocidio – di angeli e demoni, angelologie e demonologie. Sono diventato comunista in odio all’alienazione e allo sfruttamento, per tentare di capirne e ri-capirne le radici e di trovare il modo di combatterle e magari contribuire a distruggerle, e non per fare l’investigatore privato (per di più, segnalo, sempre “becco e battuto”).

Ho pensato che a fascisti o stragisti si dovesse e potesse far la guerra, ma come comunista ‘altro’, ‘rivoluzionario’ , nel senso della critica marxiana (o, diciamo – se questo termine ormai è troppo pervertito e ambiguo da essere chissà per quanto inutilizzabile a designare ciò che vogliamo designare – come “comunàuta”) mi sentirei diminuito, svilito a dovermi identificare come “antifascista”, o “antiqualunquista”, o “antistragista”. Il mio sogno era ed più grande, infatti, di quello di uno Stato che non sia sospettabile di mandare dei suoi funzionar a metter bombe sui treni o a buttar giù anarchici dalle finestre; e se le motivazioni si riducono a doversi tener stretto questo “oscuro oggetto del desiderio d’identità”, siamo davvero perduti, davvero al punto in cui “solo un Dio potrebbe salvarci”!

In quanto comunàuta (cioè nel senso di quel “comunismo rivoluzionario”, nel senso del Marx più radicale e libertario e fertile e complesso e immenso di quel Marx che spiegava al povero Prohudon che la proprietà è ben altro che un furto! , e – aggiungiamo – che il capitale – e dunque il problema – è ben altro che la forma della proprietà; di quel Marx che spiegava al povero Weitling la differenza fra un comunista e un politico….), in quanto “comunauta” dunque, ho orrore dei bassifondi bui, demenzial-criminogeni, di espressioni come “un compagno non può averlo fatto!”, in tutti i sensi e per tutte le implicazioni, premesse e conseguenze, diverse e contraddittorie….

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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