27 novembre 1979: tutti condannati gli 8 fascisti per l’omicidio di Gaetano Amoroso

La madre di Gaetano Amoroso ai funerali

Il 27 novembre 1979 la Corte d’Assise di Milano emette la sentenza per l’omicidio di Gaetano Amoroso, un militante marxista leninista ucciso a coltellate da una banda di neofascisti, alla vigilia della morte di Sergio Ramelli. La mattina dopo il ferimento, mentre la vittima si sta spegnendo in ospedale, un commando della rete militare dei Comitati comunisti uccide il consigliere provinciale del Msi Enrico Pedenovi. Ricostruiamo la condanna e la vicenda con gli articoli pubblicati da Lotta Continua il 29 e il 28 novembre 1979   

La condanna: 20 anni a 3 imputati, 13 agli altri 

Vent’anni a Croce, Pietropaolo e Cavallini (il latitante) ; tredici anni a tutti gli altri imputati. Operando una distinzionesulla maggiore o minore partecipazione al delitto ,cheil PM Dell’osso non si era sentito di fare, la seconda corte d’assise del tribunale di Milano ha riconosciuto tutti gli imputati colpevoli di omicidio e tentato omicidio, concedendo loro tutte le attenuanti possibili.

Il presidio antifascista in tribunale 

Dopo le dichiarazioni di circostanza degli imputati, dalle quali non traspariva alcuna revisione delle loro pazzesche posizioni politiche ed ideologiche, la corte si era ritirata in camera di consiglio per uscirne intorno alle diciannove. Durante tutto il giorno, gruppi di compagni hanno stazionato all’interno del palazzo di giustizia fino a che,nel tardo pomeriggio, erano presenti almeno 2 o 300 persone. Presenti in aula, alla lettura della sentenza, anche una trentina di giovanissimi neofascisti.

La bagarre in aula alla sentenza

Non appena il presidente Cusumano terminava di leggere l’elenco delle condanne, si scatenava la gazzarra con braccia tese nel saluto romano, insulti ai genitori di Amoroso, i « Sieg Heil » lanciati da un Croce furibondo («Mi hanno dato venti anni per una cosa che non volevo fare! Adesso questi anni li farò come dico io!!» gridava, i « Boia chi molla », l’inevitabile reazione dei compagni.

Ma CC e Digos erano presenti in forze, e dopo aver gentilmente (troppo gentilmente, l’apologia di fascismo è ancora un reato!) accompagnato fuori camerati, parenti e avvocati degli imputati, permetteva ai compagni di defluire in piccoli gruppi sotto una forte scorta di carabinieri bardati con l’elmetto ed il fucile impugnato per la canna. Taccio per buon gusto gli slogans bestiali (rabbia o assurda concezione “di antifascismo?) che molti compagni lanciavano mentre erano circondati e trattenuti dai carabinieri.

27 aprile 1976: l’omicidio 

27 aprile 1976, ore 23 circa. Sei amici, di ritorno da una assemblea al comitato antifascista di via Arconate, camminando scherzando tra loro, sul marciapiede di viale dei Mille. Improvvisamente balzano loro addosso alcuni individui con in mano spranghe di ferro, che colpiscono all’impazzata gridando:« Ammazzalo! Sporchi rossi!» Tre compagni riescono a sottrarsi. Degli altri, Gaetano Amoroso è accoltellato al ventre (una ferita profonda 11 cm.) e morirà due giorni dopo. Carlo Palma riceve una coltellata al petto, tenta la fuga ma è bloccato  da altri fascisti che sopraggiungono da dietro e nuovamente accoltellato alla pancia, tempestato di calci e pugni: si ritrova con gli intestini in mano, ma sopravvive. Luigi Spera è colpito con chiavi inglesi, poi trattenuto da due degli aggressori, accoltellato e nuovamente sprangato. Gli aggressóri scappano, l’intera azione sarà durata si e no un minuto.

6 novembre 1979: il processo

6 novembre 1979. Si apre il processo per omicidio e i due tentati omicidi. Otto imputati in gabbia, uno latitante, 13 avvocati della difesa, due di parte civile, la corte composta da due giudici togati e sei giudici popolari. Fin dall’inizio si comprende la linea di difesa adottata dagli imputati: negare la prima versione dei fatti resa al PM  De Liguori, con il pretesto che questi — dati i tempi ed il sinistrismo allora dilagante — aveva stravolto le deposizioni rese subito dopo il fatto, mettendo a verbale frasi mai dette dagli imputati, forzando il senso delle parole, ecc.

Accade così che, uno dopo l’altro per otto volte, gli imputati ripetono la loro storiella imparata in tre anni e mezzo di allestimento della lìnea di difesa: ecco la storiella: «Eravamo appena scampati a una aggressione nei pressi della sezione del MSI di via Guerrini. Stavamo andando a casa. Uno di noi (Walter Cagnani) credette di riconoscere in mezzo ad un gruppo di persone che camminava sul marciapiede di viale dei Mille, una persona che pochi giorni prima lo aveva aggredito. Siamo scesi dalle auto per identificare quel tizio ma questo gruppo di persone, estratte le chiavi inglesi, ci aggredì. Ci siamo eroicamente difesi».

Una difesa priva di fondamento

Risultato: nessun segno di colluttazione o di colpi sui corpi dei fascisti; un morto e due feriti gravi tra gli aggressori». Nessun pudore nel raccontare davanti al genitori di Gaetano questa ignobile farsa. Un atteggiamento tenuto nel corso del processo, che definire arrogante, antipatico, strafottente, è ancora poco.
In aula molti degli imputati si sono comportati come veri fascisti che si trovano ad essere giudicati da organi del sistema «corroso dal cancro demo-marxista». Con queste parole infatti definivano il sistema democratico borghese, firmando appelli deliranti assieme a ben più noti uomini della destra come Carlo Fumagalli, Vittorio Loi, Pietro Croce. Risultato: il PM PierLuigi Maria dell’Osso chiede 24 anni e due mesi di carcere per ognuno degli imputati.

Per approfondire

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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