Ancora sul caso Macchi: l’equivoco del garantismo unilaterale a destra

di Matteo Luca Andriola

Il golpe giudiziario di Tangentopoli prima e vent’anni di berlusconismo poi, hanno creato nelle file della sinistra mainstream una delle più vergognose creature, ovvero il “giustizialista progressista”, una delle figure che hanno caratterizzato tutta la cosiddetta Seconda Repubblica, capace di osannare i “nemici” di ieri, ovvero la magistratura e le forze dell’ordine, un tempo percepite come l’arma repressiva usata dal «nemico di classe» per sconfiggere il movimento studentesco e operaio, ma elogiata solo se “democratica” e capace di svelare le “trame nere” della reazione. Infatti, chi non ricorda le monetine del Raphael lanciate contro Bettino Craxi o i cappi agitati dai parlamentari leghisti in Parlamento durante la cupa stagione di Mani Pulite? È lì che nasce quell’odiosa malattia – che, ammetto, ha influenzato anche il sottoscritto fino a qualche anno fa – che ci porta diritto a sentimenti antipolitici e al godimento orgasmico del tintinnar di manette che oggi caratterizza il M5S, ma che ieri era parte della sinistra pre-renziana, dal quotidiano Il Fatto Quotidiano (di fatto organo ufficioso delle procure e del grillismo giustizialista) a opinionisti alla Marco Travaglio e Michele Santoro.

Ma vedere il neoquotidiano progressista Il Dubbio – diretto da Piero Sansonetti, reduce dell’esperienza de Il Garantista – che si caratterizza come «testata di riferimento per coloro che vorranno comprendere le ragioni della difesa e non soltanto quelle dell’accusa» occuparsi positivamente del caso straziante di Emanuele Macchi e titolare in prima pagina C’è un fascista morente in carcere: salviamolo, dando il via ad una campagna di civiltà garantista a cui hanno partecipato poche testate (e nessuna di sinistra!!!) fa riflettere. L’unico giornale che poi l’ha seguito è stato il manifesto, grazie alla penna di Andrea Colombo, storica firma del «quotidiano comunista» ed ex portavoce al Senato di Rifondazione Comunista. Macchi, ex militante dei Nuclei Armati Rivoluzionari finito in galera per spaccio di stupefacenti dal 2014, è in condizioni debilitanti ed è così descritto dalla moglie in un comunicato pubblicato sul blog di Ugo Maria Tassinari: «… su sedia a rotelle, non cammina più, il braccio sinistro è immobilizzato, ha le piaghe da decubito, sviene durante i colloqui. Non ricorda le cose dette un attimo prima, è pieno di lividi ed ematomi, il volto una maschera di dolore e sofferenza. Cade di continuo. Una volta lo trovo con un occhio nero, un’altra con i punti sullo zigomo, non riesce più a nutrirsi, soffre di disfagia e forse è anoressico.». Il successivo trasferimento nel reparto di Malattie infettive dell’Ospedale Galliera di Genova, sembra concludere al meglio l’evento, ma ha fatto maturare delle riflessioni. Perché pochi a sinistra hanno fatto proprio l’appello a favore di Macchi? Eppure, notava il già citato Andrea Colombo, in tempi non sospetti, «la campagna innocentista su Bologna l’hanno cominciata quelli [de] il manifesto, e negli anni ’80 quando non era facile come quando ci sono arrivati quelli di An. E quando vietarono a Tuti di partecipare al non mi ricordo più quale festival teatrale ci sei andato tu a protestare», puntualizza Colombo ad un contatto Facebook di destra, «o ci siamo andati noi? Il primo pezzo innocentista sui Nar lo ha scritto Rossana Rossanda.». Che è successo a sinistra? Perché ieri, quando ancora le ideologie erano sentite dai più a destra e a sinistra, un’intellettuale impegnata come la Rossanda e un quotidiano comunista e ideologizzato come il manifesto iniziarono a porsi dei dubbi di natura garantista sulla condanna a Giuseppe Valerio Fioravanti e alla compagna Francesca Mambro accusati da tutti, Cossiga in primis, di essere gli esecutori della strage di Bologna? Perché il garantismo della Rossanda non compromise affatto il suo esser marxista o addirittura antifascista, dato che nell’estate del 1993, sarà lei, col defunto Umberto Eco, a firmare l’Appello alla vigilanza pubblicato dal quotidiano progressista francese Le Monde ai danni di quegli intellettuali eretici di sinistra che dialogheranno con eretici del ‘fronte opposto’, Alain de Benoist in primis, accusato di tentazioni “rossobrune”. Una riflessione su questo, penso, potrebbe far rabbrividire chi per anni ha elogiato giudici, magistrati e intercettazioni telefoniche, delegando la lotta politica ad una magistratura che, marxianamente parlando, non è affatto un organismo “neutrale”, ma il braccio violento della legge del ceto che detiene i mezzi di produzione…

Inoltre, una delle forze politiche che in Italia si sono maggiormente battute a favore di una ‘giustizia giusta’, sono stati e sono tutt’ora i radicali italiani. Le sue battaglie garantiste sono così famose che tutt’oggi Massimo Bordin, conduttore su Radio Radicale di Stampa e Regime, la rassegna stampa mattutina, cita spesso l’ex Garantista e Il Dubbio di Sansonetti dato che diversi opinionisti di area radicale vi collaborano. I radicali posson piacere e non, e al sottoscritto – materialista storico di formazione secchiana – non piacciono perché liberal-liberisti-libertari, europeisti, laicisti, sionisti, femministi, americanisti, imperialisti (si veda il finto pacifismo ‘non-violento’ che poi supporta l’esportazione della democrazia con le bombe in Jugoslavia, Medio Oriente e Nord Africa) e fautori della nascita culturale del Pd, ma della trasformazione/degenerazione dell’odierna sinistra in quel coacervo “politically correct” arcobaleno, femminista, e russofoba che si chiarifica nel “comunismo #petaloso” del Prc Paolo Ferrero, nel caravanserraglio di Vendola e post-piddini Sinistra italiana-Sel.

Da studioso del fascismo e neofascismo, però mi sono sempre chiesto: perché i neofascisti odiano i radicali (alla pari dei comunisti seri, che non dimenticano che il duo Pannella & Bonino sono sodali del filantropo popperiano multimiliardario Soros, iscritto al Pr transnazionale, che dal 1977 usa i suoi miliardi per destabilizzare l’Est finanziando i “dissidenti”) in quanto mondialisti”, anche se questi – mi duole ammetterlo – si sono spesso battuti non solo più dei comunisti per modernizzare il paese, ma anche a favore dei condannati in carcere per vari motivi, fra cui reati politici e d’opinione, anche fascisti? E cito a riguardo il caso del prof. Claudio Mutti, noto studioso geopolitico eurasiatista nazional-comunitarista, da sempre critico verso i ‘radical-chic’ e la sinistra libertaria, che dopo esser finito in carcere nel 1974 e nel 1979 con l’accusa di legami con l’eversione nera, venendo però prosciolto, ci ritorna, spiega Tassinari in Fascisteria, «il 28 agosto 1980, con l’accusa di essere membro della direzione strategica dell’eversione nera. Stavolta la detenzione dura otto mesi, con un solo interrogatorio e dieci giorni di sciopero della fame. L’esito è il solito: mancanza di indizi». A battersi a favore del professore parmense ci sarà solo il segretario dei radicali italiani Giuseppe Rippa e l’opinionista radical-socialista Giorgio Galli sulle pagine di Panorama, occupandosi di questo caso di mancata “giustizia giusta”, a mio dire non dissimile al famoso caso di Tortora, dimostrando che non sempre l’ideale garantista di un’illuminista come Voltaire («io combatto contro la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perché tu, la tua idea, possa esprimerla liberamente») è sinonimo di ipocrisia.

Insomma, se come scriveva Colombo su Gli Altri, «non la destra, ma la miglior sinistra di questo paese, a partire dal Manifesto di Rossana Rossanda, non ha accettato il ricatto antifascista e ha gridato forte e chiaro che quella sentenza [la condanna a Mambro-Fioravanti, n.d.a.] era sbagliata» dato che «prima i dubbi, poi la certezza dell’errore giudiziario si sono fatti sempre più strada tra chiunque abbia avuto a che fare con quella vicenda: giornalisti, storici, magistrati», penso che il garantismo de Il Dubbio – fermo restando che è legittima la critica al radicalismo liberale o al cosiddetto “sinistrismo” di Sel e compagnia bella – debba influenzare non solo la sinistra italiana, archiviando quella cultura giustizialista che è servita a facilitare golpe giudiziari utili alla sua graduale marginalizzazione (e il caso del Brasile e della magistratura anti-Lula sembra aver svegliato i comunisti a riguardo), ma anche una destra che non deve esser garantista unilateralmente, e cioè solo quando la repressione colpisce un camerata, ma pure quando la magistratura “di regime” e la polizia colpiscono l’avversario, che sia uno Stefano Cucchi, un Carlo Giuliani o un altro.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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