20 maggio 1999. Brigate rosse, il ritorno: ucciso Massimo D’Antona
L’omicidio di Massimo D’Antona, consulente del governo D’Alema, rappresenta il ritorno in campo delle Brigate rosse. Sono passati undici anni dalla cattura dell’ultimo gruppo di fuoco del Partito comunista combattente. La principale organizzazione nata dalle ripetute scissioni dell’organizzazione. La scelta del bersaglio richiama immediatamente gli obiettivi colpiti nella fase della “ritirata strategica”. I “cervelli dello Stato”: i professori Giugni, Tarantelli, Ruffilli. Non c’è, però, continuità organizzativa. I rifondatori provengono da un piccolo gruppo guerrigliero attivo negli anni ’90, i Nuclei combattenti comunisti. Pubblichiamo qui il testo della relazione Pellegrino dedicato all’attentato e alla rifondazione brigatista.
La nuda cronaca
Il 20 maggio 1999 alle ore 8,25 circa a Roma in via Salaria due sconosciuti a volto scoperto uccidevano Massimo D’Antona esplodendogli contro diversi colpi di pistola. Il docente universitario era uno stretto collaboratore del Ministro del lavoro e aveva già collaborato con il Ministero della funzione pubblica. La personalità della vittima e le modalità esteriori dell’agguato richiamavano immediatamente lugubri rituali del passato. Lo confermavano subito, alle 14,30 dello stesso giorno, le modalità e i contenuti della rivendicazione.
Una telefonata al quotidiano “Il Messaggero” rivendicava l’omicidio in nome delle Brigate Rosse. L’anonimo indica un cassonetto per la raccolta dei rifiuti urbani in via Crispi. Qui i giornalisti rinvenivano l’ormai noto documento rivendicativo. Si tratta di un documento ideologico e programmatico composto da 28 fogli a stampa. Verosimilmente realizzato con sistema di videoscrittura o pc. Sormontato dalla scritta BR contrassegnata da una stella a cinque punte circoscritta da un cerchio, rivendica l’uccisione di Massimo D’Antona. La firma: “Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente”.
L’analisi del documento
L’analisi del documento rivendicativo operata in Commissione consente di pervenire a due preliminari conclusioni. In gran parte coincidono nei risultati con analoghe analisi acquisite dal Comando ROS dei carabinieri e dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione:
– da un lato la continuità che, almeno nel suo connotato oggettivo, il documento dimostra tra tale contesto eversivo e l’esperienza finale dell’ex ala militarista delle BR;
– dall’altro la valutazione che l’omicidio di Massimo D’Antona non è un episodio isolato. Viene ad inserirsi nel contesto di una riorganizzazione dell’eversione di sinistra in corso già da diversi anni. Ne costituisce il momento, per ora, di maggiore offensività.
Colpisce nella rivendicazione la reiterazione di concetti e valutazioni già espressi in occasione di precedenti agguati. In particolare del ferimento del professor Gino Giugni, nonché degli omicidi Tarantelli e Ruffilli (1983, 1985, 1988):
-si analizzano nel dettaglio figure e funzioni della vittima, curando di mostrare conoscenze del personaggio persino minuziose;
– vi sono anche espressioni (“rifunzionalizzazione dello Stato e del sistema politico”), che appaiono mutuate dal documento Ruffilli;
– vi è un richiamo specifico alle esperienze delle BR-PCC, protagoniste dell’omicidio Ruffilli. La nuova organizzazione afferma di porsi solo in “continuità oggettiva” con esse, assumendo la “responsabilità politica di prenderne la denominazione”.
I legami con i NCC
Per ciò che concerne, invece, l’inserirsi dell’omicidio D’Antona nel più ampio contesto di riorganizzazione eversiva innanzi esaminato, appare rilevante nel documento rivendicativo l’adesione ricostruzione delle forze rivoluzionarie, Una proposta già portata avanti attraverso l’attacco dei NCC alla sede della Confindustria (1992). E poi il richiamo espresso all’attentato del 1994 eseguito sempre dai NCC alla NATO di Roma. Si intese allora riproporre e rilanciare la capacità operativa dell’Organizzazione combattente.
Forti sono le analogie che si rilevano tra la rivendicazione dell’omicidio D’Antona e quella diffusa in occasione dell’attentato alla sede NATO del Defence College di Roma. In entrambi i documenti si afferma la necessità della costruzione di un “Fronte Combattente Antimperialista”. Si indica la NATO come obiettivo centrale della lotta armata. Si sollecita un’offensiva contro PDS e sindacati confederali, complici della “borghesia imperialista”. Un termine ripetutamente utilizzato nel documento D’Antona. Ciò rende evidente la continuità delle ricostituite BR-PCC rispetto ai NCC. Le loro esperienze armate sono espressamente riconosciute e sostanzialmente rivendicate dalle BR-PCC che si pongono in continuità (verosimilmente non soltanto oggettiva) con i NCC.
Nessun richiamo è operato invece alla – pur intensa – attività dei NTA, probabilmente ricompresi nella generica dizione “movimento rivoluzionario”. Ciò conferma che le nuove insorgenze non sono interamente riconducibili a un gruppo unitario cioè ad un’unica organizzazione. Ma all’unitarietà di un contesto caratterizzato da una pluralità di gruppuscoli che, pure all’interno di una comune matrice ideologica, operano opzioni politico-operative non pienamente coincidenti. E si pongono quindi in un rapporto reciproco di concorrenzialità, o almeno di dialettica. L’azione armata costituisce quindi anche un elemento di propaganda funzionale all’assunzione della leadership del movimento.
Gli obiettivi indicati
Inoltre, nella rivendicazione dell’omicidio D’Antona:
si indica come obiettivo il Presidente del Consiglio, responsabile di ricondurre l’opposizione di classe a un ambito funzionale all’esercizio del Governo;
altro obiettivo sono i DS, che imporrebbero “l’ordine sociale del capitale”, rendendo governabili le contraddizioni sociali attraverso la concertazione e il rilancio “neocorporativo del patto sociale”, che comprende Governo, Confindustria e Sindacato;
nel mirino brigatista entrano anche i DS-CGIL. Li ritengono promotori di un accordo funzionale a un originale ruolo dell’Italia nelle politiche “imperialiste”. Come l’Unione Europea, la moneta unica, la partecipazione al conflitto nei Balcani accanto alla NATO;
centrale è infine la denuncia contro il ruolo egemone degli USA. Ruolo avallato dall’ONU, e sostenuto con le armi dalla NATO, oramai con le mani libere a seguito dello stravolgimento degli equilibri di Yalta. Vi è, infine, il preannuncio di ulteriori azioni armate.
Oltre a una evidente impostazione che richiama l’esperienza dell’ala militarista delle BR, va notato come il documento oggetto di analisi riproduca concetti ed espressioni tratti anche da documenti più recentemente prodotti da detenuti brigatisti irriducibili attraverso il CARC. Il che sta a significare la continuità della ideologia brigatista. Emerge la volontà di reclutare proseliti e riattivare vecchie militanze nella popolazione carceraria brigatista, tra i principali destinatari della rivendicazione. E’ un dato, quest’ultimo, che parrebbe contraddire la affermazione di novità della struttura armata. La pretesa discontinuità con le precedenti esperienze terroristiche. La dichiarata continuità solo “oggettiva” della nuova formazione BR-PCC con le vecchie BR.
Un contesto mutato
L’apparente contraddizione può essere, peraltro, agevolmente risolta dalla constatazione che la riorganizzazione eversiva avviene in un contesto mondiale ed interno, che è profondamente mutato rispetto a quello nel quale le BR consumarono la loro esperienza finale. La mutazione del contesto è nel documento rivendicativo oggetto di analisi, e introduce nello schema organizzativo, nella definizione dei programmi, nella individuazione degli obiettivi, indubbi elementi di novità, che pure non contraddicono i rilievi di continuità oggettiva e probabilmente soggettiva tra vecchie esperienze e nuovi fenomeni eversivi.
Indicativa in tal senso è, ad esempio, la sostituzione della vecchia categoria del SIM (lo Stato Imperialista delle Multinazionali) con la nuova categoria della BI (Borghesia Imperialista) già apparsa in documenti anteriori, che innanzi sono stati richiamati. Altri soggetti destinatari della propaganda armata brigatista sono le fasce di emarginazione sociale, il proletariato urbano e l’area del pacifismo. Analogie in tal senso, specie in ordine alla insistenza con cui si vede nel sottoproletariato urbano il soggetto rivoluzionario, possono cogliersi anche rispetto a più antichi documenti del partito-guerriglia di Senzani, che chiamava a raccolta le fasce della disperazione meridionale e napoletana in particolare (disoccupati, precari, corsisti, eccetera), sollecitando un’alleanza stabile fra queste, le organizzazioni della criminalità comune, i detenuti e gli ex detenuti.
I rapporti col carcerario
In particolare non sembra possibile dubitare che il documento rivendicativo tenda a sollecitare una specifica interlocuzione, con quello che ben può definirsi, come nel passato, il “segmento carcerario” dell’intero movimento.
Sul punto le acquisizioni in possesso destano fondate preoccupazioni, atteso che allo stato attuale, come ha riferito a questa Commissione il sottosegretario per l’interno Sinisi, nelle nostre carceri si trovano 150 BR reclusi, 81 dei quali sono irriducibili. Il dato desta particolare allarme alla luce delle ricorrenti dichiarazioni di adesione espresse da brigatisti detenuti al documento diffuso dal BR-PCC dopo l’omicidio D’Antona (così Francesco Aiosa, Cesare Di Lenardo, Ario Pizzarelli, Fabrizio Minguzzi, Daniele Bencini, Antonino Fosso, Anna Maria Cotone ed altri) i quali, anche attraverso documenti fatti uscire dal carcere, hanno inteso fornire copertura politica al crimine con sospetta tempestività.
Inoltre, 48 brigatisti sono tuttora latitanti, e, di questi, 29 si trovano in Francia. Infine, ben 70 detenuti godono dei benefici della legge penitenziaria e tra questi “non pochi sono gli irriducibili” tra cui, come ha ancora riferito a questa Commissione il sottosegretario Sinisi, pluriomicidi e noti terroristi professionali.
Due direttrici strategiche
In conclusione, due appaiono le direttrici strategiche perseguite dalle attuali BR: l’attacco allo Stato per “disarticolare i progetti neocorporativi della borghesia e dei revisionisti” e gli attacchi militari alle strutture che “rappresentano il dominio della borghesia imperialista”, al fine di “trasformare la guerra imperialista in guerra di classe”. Va da ultimo annotato che l’attenzione verso un ruolo eversivo da assegnare alla diffusa cultura pacifista esistente nel nostro Paese ed alle forme di esasperazione che essa ha assunto, anche se in dimensioni limitate, in occasione delle azioni militari dei paesi NATO nei Balcani, potrebbe anche presupporre (ed insieme essere indicativo di) un tentativo revanscista di vecchi apparati segreti dei Paesi ex comunisti, teso ad indebolire l’Italia agli occhi dei suoi alleati, creare tensioni interne, far circolare veleni favorevoli ai vecchi equilibri di Yalta.
Uno scenario di guerra
Del resto, infiltrazioni o comunque tentativi di condizionamento delle attività delle formazioni eversive operanti in Italia da parte di servizi segreti stranieri non sarebbero una novità; in tale prospettiva la scelta dei tempi per portare a compimento l’assassinio D’Antona, che ha suscitato perplessità, troverebbe una sua giustificazione nella fase politica, densa di tensioni anche interne, indotte dal conflitto NATO-Serbia. Tuttavia sarebbe pericoloso se considerazioni di tal tipo inducessero, nel ripercorrere antichi sentieri, a commettere errori che già in passato furono commessi, se cioè inducessero a ritenere che le BR (anche nella nuova fase riorganizzativa) siano cosa diversa da ciò che dicono (e dissero) di essere (e di essere state).
Una formazione armata che non nascose mai (come oggi non nasconde) il suo credo ideologico e fa (come già in passato fece) del terrorismo lo strumento per la realizzazione di obiettivi intermedi e fini ultimi apertamente dichiarati e annunciati; avanguardia armata di un movimento antagonista di contestazione (con il quale interloquisce e si dialettizza), che fortunatamente oggi, come già avvertito, ha dimensioni notevolmente minori rispetto al passato. Tutto ciò ovviamente non esclude – come già osservato – che l’esperienza delle BR conosca processi di attraversamento, di congiunzione, di contatti e di contaminazioni che già conobbe nel passato e che oggi ben possono riprodursi, sia pure in forme nuove, in ragione della notevole diversità del contesto internazionale ed interno.
Fonte Relazione Pellegrino, Commissione parlamentare Stragi 2000 (testo sottoposto a editing redazionale per migliorarne la leggibilità)
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