Muore Maurizio Giorgi: scampò alla caccia grossa dei servizi
E’ morto stamattina Maurizio Giorgi, quadro storico di Avanguardia nazionale, della cerchia più stretta dei fedelissimi di Stefano delle Chiaie. Arrestato nell’inchiesta per la strage di Bologna, fu accusato da un provocatore di esserne l’autore materiale e così finì nel mirino dei servizi “deviati”. Nella prima edizione di “Fascisteria” così raccontavo la storia
Primo bersaglio: Maurizio Bragaglia
Il 5 maggio dell’82 è l’ultima tappa della maledizione che decima i Nar ma la morte di Vale si intreccia con un’altra moria, che colpisce o sfiora gli avanguardisti accusati della strage di Bologna. La prima vittima (mancata) è Maurizio Bragaglia, il secondo di tre fratelli, tutti militanti neofascisti. Il primo, Riccardo, leader della Balduina, arrestato dopo l’omicidio di Walter Rossi[i] e processato per l’attività della sezione. L’ultimo, Pierluigi, detto Pippi, uno dei pischelli di Vigna Clara, fedelissimo di Roberto Nistri. Fuggito all’estero nella primavera dell’82, condannato per qualche rapina. Una leggenda tra i camerati romani, per una storia d’amore con una attrice famosa e bellissima, Eleonora Giorgi, ex di Lotta Continua, cinque anni in più, non ancora signora Rizzoli.
Maurizio è indicato in una velina stesa da Musumeci, n.2 del Sismi, come il responsabile meridionale della banda armata di Delle Chiaie e responsabile dei rapporti tra TP e i gruppi stranieri autori della strage di Bologna. Una sera del gennaio del 1981, mentre sta per scattare l’operazione “terrore sui treni”, “un gruppo di poliziotti in borghese, con l’incarico di arrestarlo, lo attende sotto casa. Una Renault 5 simile a quella di Bragaglia arriva nella zona. Gli agenti aprono il fuoco senza intimare l’alt: una donna che si trova al volante muore sul colpo. Il rapporto parlerà di un incidente, uno scambio di persona avvenuto nel buio. Ma perché la polizia ha sparato per uccidere se l’ordine era quello di arrestare Bragaglia?”[ii].
L’intreccio con Terrore sui treni
Certo è che dopo l’incidente Bragaglia è retrocesso e il ruolo di “ministro degli esteri” è affidato a Giorgio Vale che è riconosciuto in foto dall’impiegata dell’agenzia di viaggi come l’acquirente dei biglietti: avendo connotati assai spiccati resta il dubbio se la signorina abbia subito pressioni per il riconoscimento o se, piuttosto, i depistatori si siano preoccupati, per verosimiglianza, di mandare un sosia a comprare i biglietti. Alle origini della scelta di Taranto come punto di partenza del carico di armi e di esplosivo c’è la soffiata di Volo, amico di Mangiameli e confidente dei servizi, che indica la casa di Gradoli come base per la liberazione di Concutelli.
La sequenza cronologica è impressionante. Il 7 è uccisa la signora sotto casa di Bragaglia, l’8 il giudice Sisti lancia l’allarme per il progetto di evasione, il 9 Musumeci consegna al collega Notarnicola un appunto sul trasporto di armi, che si vuol far credere organizzato da Fioravanti, Cavallini e Vale, il 10 è ritrovata la valigia.
L’omicidio di Carmelo Palladino
Per il sospetto di aver “venduto” Vale Pierluigi Concutelli uccide in carcere Carmelo Palladino, imputato della strage. Anche in questo caso è lecito parlare di “esecuzione di Stato”. Palladino – che per il tam tam del carcere ha gettato in pasto agli inquirenti che lo pressavano su Vale il nome di Sortino – è in isolamento a Ravenna: gli investigatori gli attribuiscono qualche ammissione e lo escludono dal circuito speciale per metterlo al sicuro dalla vendetta degli “irriducibili”.
Perché lo trasferiscono a Novara dove già un detenuto in odore di “infamia”, Ermanno Buzzi, condannato per la strage di Brescia, è stato strangolato da Tuti e da Concutelli? Perché il direttore delle carceri, il piduista Ugo Sisti (nell’agosto ‘80 capo dell’ufficio istruzione di Bologna) dirà al processo della strage di ignorare i particolari del trasferimento mentre al giudice di Novara aveva raccontato che aveva predisposto l’isolamento totale di Palladino?
La provocazione contro Maurizio Giorgi
Negli stessi giorni un coimputato di Palladino, Maurizio Giorgi, un altro fedelissimo di Delle Chiaie, si ritrova in cella un trafficante di droga, Rudy Miorandi, informatore dei carabinieri. Ai giudici di Bologna racconta che Giorgi gli ha confidato di aver messo la bomba alla stazione. Miorandi è premiato con la libertà, nonostante i numerosi procedimenti in corso, e ottiene anche un permesso di colloquio con Giorgi. Gli offre di evadere ma Giorgi rifiuta.
Il fatto è che al centro del bersaglio è l’intero gruppo dirigente di AN, e soprattutto Delle Chiaie. Nel secondo anniversario della strage scatta l’operazione Pallmall – dal nome delle sigarette fumate da “caccola”–: l’obiettivo è eliminare lui e il suo braccio destro in Bolivia, Pagliai. Ci provano prima col truffatore Elio Ciolini, un neofascista al soldo dei servizi segreti francesi, che dapprima depista le indagini sulla strage di Bologna inventandosi una triangolazione tra una superloggia massonica di Montecarlo, operazioni finanziarie della Trilateral e AN, poi si fa anticipare 20mila dollari e scompare.
Ciolini è un “sola” che si vende come esperto di “lavori sporchi”. Alto, grassoccio, pochi capelli, quarant’anni trascorsi intensamente. Ha vissuto a lungo in Francia – e infatti parla una strana neolingua – e in America Latina, dove ha sposato una peruviana e si vanta di avere una compagnia aerea. Dieci anni dopo tornerà alla ribalta. Nella primavera del ‘92, nelle convulse settimane che precedono le dimissioni di Cossiga, rivela un colossale piano eversivo. Sarà poi definito dal presidente del Consiglio Andreotti una patacca. (…)
Elio Ciolini, che personaggetto
Ciolini non è solo un “ballista” di genio: come la superloggia di Montecarlo sembra alludere a un’emanazione segreta della P2 che si è autonomizzata da Gelli, così la patacca del ‘92 anticipa di pochissimi giorni l’omicidio a Palermo di Salvo Lima. Dopo il “bidone” i servizi segreti si affidano alla malavita francese per catturare Delle Chiaie. Un componente del commando è però un vecchio amico e così “caccola” è avvertito del progetto, che prevede la sua cattura a La Paz, dove è consigliere della giunta militare come esperto di “guerra psicologica”, e la scomparsa nelle acque del lago Titicaca.
Negli stessi giorni è costruito un suo falso ingresso negli Stati Uniti. In questo depistaggio gioca un ruolo decisivo Francesco Pazienza, che è anche responsabile dell’operazione “terrore sui treni”. In un’intervista sull’attentato contro il Papa getta là, quasi per caso, l’indiscrezione che Delle Chiaie è entrato a Miami con un turco, notizia che troverà riscontro nei registri della Dogana. Chi si prende la briga di farsi registrare come S. Delle Chiaie proprio nei giorni in cui il vero Delle Chiaie (che ovviamente gira sotto falso nome) deve scomparire?
Un’esecuzione feroce
Due mesi dopo un controgolpe organizzato dalla Cia porta alla deposizione dei narcogenerali. Mentre i consiglieri americani dirigono le operazioni, un cargo militare italiano atterra a La Paz con 40 tra agenti e funzionari dell’Ucigos e del Sisde. È il 9 ottobre 1982.
Il giorno dopo, in un agguato a Santa Cruz della Sierra, è gravemente ferito Pierluigi Pagliai (è in coma per un colpo alla nuca e paralizzato per una lesione al midollo spinale): l’operazione congiunta diventa ben presto un blitz dei soli carabineros locali. La versione ufficiale parla di un poliziotto boliviano che gli spara alla nuca, con una calibro 22, perché aveva fatto resistenza. Secondo La Repubblica Pagliai era sceso dall’auto con le mani in alto. A tradirlo è stato il capitano boliviano Larrea, con cui condivideva l’abitazione.
La figura di Pierluigi Pagliai
Pagliai non aveva militato in AN: era un sambabilino coinvolto nella prima inchiesta sulla strage di Brescia. Nel autunno ‘73 (a 19 anni) s’era iscritto all’Università di Parma prendendo una casa con Silvio Ferrari, il militante di Anno zero che salta in aria il 19 maggio 1974 mentre trasporta un ordigno esplosivo. Subito dopo la tragedia Pagliai si precipita a Parma con Marco De Amici per asportare dall’appartamento un’intera cassa di materiale “pericoloso” (secondo la ragazza di De Amici, imputato per la strage, esplosivo in granelli e proiettili). Pagliai è descritto da Vincenzo Vinciguerra[iii] come un cattivo soggetto: implicato nel narcotraffico, schiaffeggiato da Delle Chiaie per aver partecipato alla tortura di un oppositore. Eppure la sua esecuzione sommaria è un episodio vergognoso.
La mattina dell’11, nonostante le gravissime condizioni e il parere contrario dei medici, è caricato su un aereo e trasferito a Roma. A chiederne l’espulsione è direttamente l’ambasciatore americano a La Paz. A firmarlo un presidente e un ministro degli Interni non ancora formalmente in carica. Il titolare del Viminale, Rognoni, in quei giorni in visita negli Stati Uniti, sentitamente ringrazia. Pagliai non riprenderà mai conoscenza: morirà il 5 novembre, quinta vittima di una catena che anche questa volta vede tre morti (la vicina di casa di Bragaglia, Palladino e Pagliai) e due superstiti (Giorgi e Delle Chiaie). E finisce il giorno 5.
Il gioco sporco dei servizi
Non è però un altro ciclo cabalistico: se di maledizione si deve parlare in questo caso, è quella dei servizi segreti italiani, capaci in venticinque anni di stragi di qualsiasi sozzeria. La sola certezza e l’unico nesso reale che congiunge la prime fase dello stragismo (1969–1974: da Piazza Fontana all’Italicus, finalità golpiste e anticomuniste e manovalanza fascista) e la seconda stagione (1980–1984: da Bologna al rapido 904, finalità oscura e manovalanza incerta) è il ruolo sistematico dei servizi segreti – dal capitano Labruna al maggiore Francavilla, favoreggiatore del boss Misso nell’inchiesta sulla strage di Natale – nel lavoro di occultamento della verità e di assistenza ai terroristi e ai criminali sospettati.
I due neofascisti morti, in particolare, pesano sulla coscienza di Ciolini e di chi, senza nessun riscontro su quelle che erano a lume di naso evidenti fandonie, ha “comprato” le informazioni fasulle e le ha poi usate per accusare il gruppo dirigente di AN della strage. Al processo di Bologna il capo della Polizia Parisi, nel 1980 vicedirettore del Sisde smentisce la collaborazione di Ciolini e la trattativa per l’arresto di Delle Chiaie: “Chi si era interessato della cosa ancora una volta era il giudice Gentile … io non acconsentii … la questione fu passata al dott. Fragranza [un questore morto] … una truffa che a sua volta aveva ulteriormente perpetrato alla amministrazione Elio Ciolini”. Quanto alla cattura di Pagliai “l’operazione nostra si doveva svolgere in maniera assolutamente pulita e tale è stata l’azione della polizia italiana e del Sisde … l’operazione era guidata dal questore Fragranza” [iv].
Quelle quaranta collusioni
Tra i responsabili della cattura di Pagliai, secondo Delle Chiaie e Tilgher, ci sarebbe stato anche Mario Fabbri. Del funzionario del Sisde arrestato per i rapporti con Danilo Abbruciati [alla sua figura è ispirato in Romanzo criminale – le serie uno dei due agenti segreti ribattezzati da “Libanese” Cip e Ciop, ndb] leader di AN sottolineano velenosamente la militanza giovanile in Caravella, il gruppo universitario neofascista da cui figlieranno la rigenerazione di AN e Lotta di Popolo. A restare con il cerino in mano Delle Chiaie non ci sta. E, nell’arco di un trentennio vissuto pericolosamente, non ha mai perso l’occasione di rinfrescare la memoria ai tanti uomini del Palazzo che per diverse ragioni si sono avvalsi dei suoi servigi.
Dall’inchiesta Salvini emergono numerosi incontri tra “caccola” e Giorgio Almirante: in uno, la “primula nera” fa pressioni sul segretario del Msi perché candidi il comandante Borghese a Reggio. Ma ritorna anche la diceria di un incontro a Madrid con Cossiga, ministro degli Interni nei governi di solidarietà nazionale, quindi almeno nel’76, quando già il regime franchista è in dissoluzione.
Commemorando il ventesimo anniversario della strage di Piazza Fontana, il presidente della Commissione parlamentare sulle stragi, Libero Gualtieri ricorda che sono stati individuati almeno 40 casi di collusioni tra servizi segreti e terrorismo di estrema destra[v]. Più di una generazione di comunisti rivoluzionari, a partire da quella del ‘68 che aveva perduto l’innocenza la sera del 12 dicembre del ‘69, si era formata nella convinzione che “la strage è di Stato” e “Valpreda è innocente”.
Note
[i] Delle Chiaie e Tilgher compiono un clamoroso lapsus freudiano nel loro libro, attribuendogli il coinvolgimento nell’omicidio di Paolo Rossi, lo studente ammazzato nell’aprile 1966 nel corso di un pestaggio a cui partecipa il gotha dello squadrismo romano. All’epoca la linea difensiva dei fascisti era stata che lo studente di sinistra era caduto per disgrazia sullo scalone della Minerva…
[ii] Adalberto Baldoni–Sandro Provvisionato La notte cit. p. 401
[iii] Vincenzo Vinciguerra Ergastolo cit. p. 71
[iv] Stefano Delle Chiaie–Adriano Tilgher Un meccanismo cit., p.187.
[v] Philip Willan I burattinai,cit. , pp. 180–181
[vi] Adalberto Baldoni–Sandro Provvisionato La notte cit. p. 142.
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