20.10.47, nasce Giovanni Girlando, er roscio della Magliana

Tra i personaggi “secondari” di “Romanzo criminale” “Satana” è uno dei più caratterizzati e di maggiore impatto. La sua storia è costruita sulla vita di Giovanni Girlando (20 ottobre 1947-21 maggio 1990), “er roscio”. Componente della batteria di Nicolino Selis “il sardo” [è l’unico caso in cui il soprannome reale coincide con quello del personaggio della fiction, ndb], responsabile dello spaccio tra Ostia e Acilia. Uno che, quando esplodono i conflitti e i pentimenti, si mette in proprio. Per finire ammazzato nella pineta di Castelporziano. Dopo gli omicidi di Edoardo Toscano e Renatino De Pedis.
Nella serie tv, invece, “Satana” è l’unico partecipante al sequestro Rossellino che rifiuta di fare cassa comune. Si prende la stecca per essere poi ucciso per “concorrenza sleale” sul traffico di stupefacenti. E infatti il soprannome della fiction è appropriato: è l’angelo ribelle …
Vediamo le diverse fasi della sua attività nella ricostruzione di Giovanni Bianconi. Partiamo dalla batteria Selis (ho omesso le rapine a cui “er roscio” non partecipa)
La batteria Selis
Anche questi cominciarono coi furti e le rapine. Alle tabaccherie, agli uffici postali, ai treni. «Si forma quasi immediatamente una organizzazione che si dedica per otto mesi, da gennaio all’agosto 76, al compimento di rapine a mano armata e reati connessi. Fulvio Lucioli [il primo pentito della banda, nella fiction è il “Sorcio”, il tossico addetto al controllo qualità dell’eroina, ndb] racconta che la stessa era composta da lui, Selis, Girlando, Urbani, e altri tre banditi. Tale era l’associazione di base a cui di volta in volta si sono aggiunti altri complici.»
Il colpo sfigato alla Superpila
Cominciarono con l’assalto al deposito della Superpila, nel gennaio di quell’anno. Racconterà Lucioli che un dipendente della fabbrica da «ripulire», cognato di Girlando detto «Gianni il roscio», fece da basista. Procurò le chiavi del deposito e avvertì quando sarebbe stato pronto il camion con la refurtiva. Il giorno stabilito Lucioli, il «roscio» e un certo Mariolino entrarono nel deposito. Trovarono il camion carico di calcolatrici e altra merce di valore. Provarono a metterlo in moto ma non riuscirono a farlo partire. Allora tolsero i sedili posteriori a un’Alfa 2000 trovata nel parcheggio e caricarono una parte della refurtiva. Poi tornarono col furgone di un loro amico fruttivendolo e portarono via il resto del carico. (…) [E’ evidente che l’episodio è trasposto nella serie tv: il primo colpo della batteria del Libanese che si appropria dell’incasso e finanzia l’acquisto di armi, ndb]
In un mese tre rapine in Toscana
Il 21 giugno il gruppo si spostò in Toscana,. A Pontedera, per assaltare l’ufficio postale della stazione ferroviaria. Selis e Girlando entrarono armati. Con un calcio tra le gambe costrinsero l’impiegato di turno ad aprire l’armadio blindato dov’erano custoditi 25 milioni. (…)
Due settimane dopo, l’irruzione in un’altra stazione in Toscana, quella di Follonica: «Egidio Angiolini, dipendente della ditta appaltatrice dei trasporti postali, veniva affrontato da due individui a viso scoperto con spiccato accento romanesco. I due gli puntavano una pistola alla nuca e si facevano consegnare due pacchi contenenti i valori. Dopo averlo legato con del filo di ferro, chiudevano la porta a chiave e si dileguavano». I due individui erano Girlando e Selis, Lucioli aspettava nell’appartamento servito da base. Bottino della rapina: 23 milioni e 950.000 lire.
Passarono otto giorni. Il 22 luglio venne presa di mira l’agenzia del Monte dei Paschi di Siena a Riva del Sole, frazione di Castiglion della Pescaia. Lucioli, Selis, Girlando e un altro bandito portarono via 14 milioni e mezzo.
L’assalto al treno e l’arresto
Il 10 agosto di quell’estate vissuta all’insegna del «mordi e fuggi», il gruppo diede l’assalto al treno. Verso le 18, sul diretto che andava da Chiusi a Siena, tre uomini armati e mascherati si presentarono nella vettura di coda. Chiusero il controllore in uno scompartimento. Tennero per qualche minuto i passeggeri sotto tiro. Presero quattro sacchi postali pieni di raccomandate e assicurate. Bloccarono il treno col freno d’emergenza all’altezza di un passaggio a livello.
Scesi dal vagone, i rapinatori raggiunsero la Fiat 126 su cui li aspettava un complice. Fuggirono verso l’Autostrada del Sole, dove entrarono tagliando una delle reti di recinzione.
Due ore più tardi, una pattuglia di polizia fermò una Porsche sulla via Prenestina: a bordo c’erano Giovanni Girlando, Fulvio Lucioli, una pistola calibro 38 con cinque pallottole nel tamburo, una Beretta calibro 9 completa di caricatore e cartucce, una Browning 7.65 col colpo in canna, due paia di guanti e due passamontagna. Addosso a Girlando un biglietto ferroviario valido per il treno Chiusi-Siena di quel giorno. Timbrato dallo stesso controllore che era stato rinchiuso nello scompartimento. I due furono arrestati, processati e condannati. Cinque anni e dieci mesi di carcere a Girlando, due anni e otto mesi a Lucioli.
L’ultimo incontro con Selis
Tra le visite che Nicolino aveva organizzato nei cinque giorni di libertà ce n’era pure una in carcere, ai suoi vecchi compagni di Rebibbia. Nella prigione romana, in quei giorni, erano rinchiusi Gianni Girlando, «il roscio», e Pietro De Riz, l’interprete che aiutava a organizzare i traffici di droga dalla galera. E c’era pure suo fratello Fabrizio Selis.
La mattina di lunedì 2 febbraio furono convocati tutti e tre nella saletta colloqui del carcere, c’erano visite. Nicolino comparve con il cognato e con un altro amico, Enrico, uno del «giro» coi suoi bravi precedenti penali per droga ed evasione; insomma, uno di quei summit in carcere in teoria vietati ma in pratica di ordinaria amministrazione. Si abbracciarono tutti, poi Girlando prese a parlare con Enrico, mentre Selis si appartò con De Riz. (…)
L’avvertimento per Nicolino
Quel giorno, a Rebibbia, «l’interprete» avvertì Selis: «Stai attento, perché qui si respira un’aria strana, mi sembra che le cose non si stiano mettendo bene». Era un po’ di giorni che De Riz notava uno strano silenzio da parte di Girlando, un’atmosfera di cupa tranquillità, come se ci fosse stato qualche lutto. E siccome nessuno era morto, l’impressione era che qualcuno stesse per morire. «Non ti preoccupare», risposte Nicolino, «adesso chiarisco tutto. E poi Lucioli mi ha fatto trovare una Golf blindata, con quella sono al sicuro.»
L’avvertimento per Pietro
Mentre Selis gli diceva queste parole, De Riz alzò lo sguardo e incrociò gli occhi del «roscio» puntati nella loro direzione. Uno sguardo serio, grave come l’aria del carcere. Alla fine del colloquio, nuovi saluti, e nuovo abbraccio tra Girlando e Selis. Mentre rientravano nelle celle, De Riz, sempre più preoccupato, chiese a Girlando che cosa stesse succedendo. «Cerca di farti i cazzi tuoi», fu la risposta. [La sera stessa Nicolino Selis cade in una trappola degli avversari e viene ucciso, ndb]
La violazione delle regole
Secondo le regole interne, non solo c’era l’obbligo del mutuo soccorso verso i detenuti e i loro familiari − oltre alla «stecca», cioè la percentuale di guadagni sugli affari che andavano avanti, bisognava garantire la «settimana», una sorta di stipendio che permettesse di conservare lo stesso tenore di vita a chi finiva in galera e alla sua famiglia -; i «bravi ragazzi» che si ritrovavano dietro le sbarre dovevano anche attenersi a un «codice di comportamento».
Il primo punto era quello di non «scendere a patti di alcun genere con il personale carcerario»; ufficialmente, si intende, perché poi guardie, infermieri e tutti coloro che era possibile «avvicinare» venivano regolarmente contattati e retribuiti per ottenere trattamenti di favore. Ma era vietato accettare le regole della legge e del carcere, per cui non si potevano chiedere attestati di buona condotta, permessi e licenze.
Il rientro in carcere dopo la licenza
Inoltre, in ogni momento il detenuto della banda doveva avere in testa l’obiettivo dell’evasione: tutto andava finalizzato alla fuga, e quando Gianni Girlando, «il roscio», non solo ottenne un permesso, ma alla sua scadenza ritornò disciplinatamente in cella anziché darsi alla latitanza, fu guardato con sospetto dagli amici. La stessa cosa stava accadendo, ora, con Maurizio Abbatino.
L’omicidio
A Giovanni Girlando, «Gianni il roscio», spararono un colpo alla nuca nella pineta di Castelporziano. Una sera di maggio di quel 1990. L’anno dei Mondiali di calcio in Italia e dei regolamenti di conti tra «bravi ragazzi». Il «roscio» era il trafficante di droga amico di Fulvio Lucioli. Veniva dal gruppo di Acilia-Ostia, poi era passato con quelli della Magliana. Continuava a trafficare eroina. Per fare affari, quando per le dichiarazioni dei «pentiti» e la guerra interna l’aria s’era fatta pesante, era andato in Olanda. Qui fu arrestato, estradato in Italia e poi scarcerato.
I traffici di droga in Olanda
Nel Paese dei tulipani erano transitati diversi dei banditi cresciuti nelle borgate intorno al Tevere. Lì avevano aperto un canale per commerciare la droga; la cocaina adesso arrivava dalla Spagna e dal Marocco, l’eroina invece dalla Turchia, via Olanda. Non solo Girlando era arrivato nei Paesi Bassi, ma anche Marcello Colafigli, Vittorio Carnovale, Libero Mancone e Antonio D’Inzillo, un altro giovane neofascista riciclatosi nelle bande criminali comuni; nell’aprile del ’91, in una località non lontana da Amsterdam, comparirà il cadavere di un trafficante turco, Ercan Mahmut Inanguray: sulla sua agendina c’erano i numeri di telefono di Colafigli, Carnovale e D’Inzillo.
Il ritorno a Ostia
A quarantadue anni Gianni Girlando voleva ancora dire la sua nel mondo della malavita. Da cinque mesi s’era stabilito a Ostia, insieme a una nuova donna: quella precedente, Patrizia, l’aveva lasciata col figlio di nove anni.
La mattina di lunedì 21 maggio, Gianni uscì di casa proprio per andare a trovare il bambino nella sua casa di Acilia. Non ci arrivò mai. Tre giorni dopo, la sera del giovedì, ricomparve tra i cespugli della pineta: il cadavere con la maglietta alzata fino al petto e la faccia sfigurata dal sangue rappreso, scoperto da due ragazzi, era del «roscio». Documenti addosso non ne aveva, solo il Rolex d’oro, una catenina e il tatuaggio di una farfalla.
I parenti: “Gianni si bucava”
In casa, nemmeno i parenti poterono parlar bene ai giornalisti di Gianni Girlando: «Litigava spesso, non abbiamo certo un buon ricordo. Non lavorava, aveva pochi soldi. Patrizia ha tirato su il piccolo solo grazie a un minimo sussidio. Si bucava, ma non ci raccontava niente di quanto facesse. Ci diceva di essere “internazionale“»191.
Le indagini sulla morte del «roscio» non portarono a nulla. Ci fu solo la solita «fonte confidenziale» che spifferò in Questura di una lite recente tra Girlando e Marcello Colafigli, a quell’epoca ancora uccel di bosco, il quale «aveva aspramente rimproverato» a Gianni «il mancato aiuto fornito ai componenti del sodalizio detenuti.»
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