30 luglio 1970: gogna alla Ignis di Trento per due missini

Nel suo libro su Lotta Continua, Aldo Cazzullo ricostruisce il peso dell’esperienza trentina. Da una parte un episodio esemplare di violenza antifascista, la gogna alla Ignis per due esponenti missini, dall’altra il grande lavorio di controinformazione promosso e gestito da Marco Boato

gogna alla Ignis

Portati alla gogna sotto la pioggia, incalzati per sette chilometri da un corteo inferocito, con le mani dietro la nuca e un cartello al collo: «Siamo fascisti. Oggi abbiamo accoltellato 3 operai della Ignis. Questa è la nostra politica pro operaia».

L’attacco fascista, la risposta

Sono due esponenti missini, il consigliere regionale Andrea Mitolo e il sindacalista Cisnal Gastone Del Piccolo. Ovviamente non sono loro gli aggressori, ma una squadra di quaranta provocatori con catene, bastoni e pistole. Hanno accolto l’uscita degli operai con lanci di sassi e ne hanno aggrediti due a colpi di coltello. Poi sono fuggiti, e gli studenti arrivati ai cancelli della fabbrica hanno sfogato la loro rabbia sui due missini.

Il corteo percorre la statale del Brennero fino al centro di Trento. Invano la polizia tenta di liberare Mitolo e Del Piccolo. La prima tappa è l’ospedale, dove sono ricoverati gli operai feriti, poi il sagrato del Duomo; prima di arrivare in questura, il corteo è sciolto dagli agenti. È il 30 luglio 1970. Vengono emessi mandati di cattura per quattro studenti, fra cui Checco Zotti, che parte latitante in Germania.

La rivendicazione di Lotta Continua

Lotta continua pubblica la foto della gogna di Trento accanto a quella di un repubblichino che va verso il plotone d’esecuzione con le mani alzate e commenta, sotto il titolo 1945-1970. Il popolo ricomincia a farsi giustizia da sé: «Questa è l’immagine esaltante che da Trento è rimbalzata in tutta Italia facendo fremere di sdegno e di paura i padroni, scandalizzando i sindacati, riempiendo di gioia e di orgoglio i proletari“.

Il Msi pretende sia fatta pulizia

L’MSI chiede la rimozione del questore Amato; sarà accontentato. Su richiesta di Flaminio Piccoli, arriva a «fare pulizia» Elvio Catenacci, capo della divisione Affari riservati del ministero dell’Interno e vicecapo della polizia; nuovo questore è Musumeci, da Padova viene il capo dell’ufficio politico, Molino, comandante del gruppo dei carabinieri diventa il colonnello Santoro. Di Trento si occuperà anche il centro di controspionaggio di Verona del Sid, il servizio segreto militare, comandato dal colonnello Pignatelli.

Un centro della strategia della tensione

Comincia anche nella piccola città bianca la strategia della tensione: ordigni incendiari nei cinema, contro l’auto del segretario della Cisl, nella sede di Lotta continua. Una bomba viene nascosta in una sacca davanti al tribunale dove il 19 gennaio 1971 sono in programma il processo a due operai e una manifestazione studentesca di solidarietà. Entrambi rinviati all’ultimo momento. Nella notte fra il 18 e il 19 la bomba viene «trovata» e disinnescata.

Se fosse esplosa, sostiene il perito di piazza Fontana Teonesto Cerri, avrebbe fatto decine di morti; e la responsabilità sarebbe ricaduta sugli studenti. Il 12 febbraio, durante una manifestazione, esplodono due ordigni, di fronte al Castello del Buonconsiglio e davanti alla statua di Cesare Battisti.

Quelle provocazioni dei carabinieri

«A Trento il clima comincia a cambiare già nella primavera del ’70» racconta Marco Boato «quando vengo arrestato con la falsa accusa di aver partecipato “mascherato e armato di bastone” a scontri che in realtà ho tentato di sedare, e di aver provocato lesioni gravissime a un carabiniere. Vengono a prendermi a casa a Venezia. Quando vedo il questore Amato gli dico solo: “Siete pazzi”. Lui risponde: “Non siamo stati noi, ma i carabinieri”. Rimango in carcere cinque giorni. Sarò processato e assolto nel maggio dell’86, dopo sedici anni di libertà provvisoria.

«Torno a Trento dal servizio militare nel settembre ’71, e trovo una città completamente diversa da quella che ho lasciato, terrorizzata, disarticolata. Lotta continua è ridotta politicamente ai minimi termini e sepolta dai carichi processuali: ogni volantino costa una denuncia e un processo. Comincio a occuparmi della difesa dei compagni accusati. Divento responsabile nazionale della politica della giustizia di Lotta continua: seguo decine di processi a Trento e indago per scoprire cos’è successo.

Mi aiuta Alexander Langer, che fa il militare in Piemonte e conosce in caserma un ragazzo della Val di Non, Sergio Zani, terrorizzato perché dice di aver messo una bomba a Trento per conto della polizia. Un giornalista dell'”Alto Adige” mi confida che il colonnello dei carabinieri gli ha mostrato un rapporto riservato: vi si legge che le indagini sono state interrotte perché la bomba è stata messa “da altro corpo di polizia”.

Le minacce a Sandra Bonsanti

A Sandra Bonsanti, venuta a Trento per un servizio per “Il Mondo”, il colonnello risponde: “Se lei parla di questa cosa, io la butto dalla finestra”. La Bonsanti scrive tutto. Scoppia uno scandalo. Nel ’77 per le bombe di Trento saranno arrestati il colonnello Santoro, il colonnello Pignatelli, il vicequestore Molino. Al processo mi costituirò parte civile. In primo grado li assolveranno con formula dubitativa, in appello con formula piena. Negli stessi giorni si celebrerà a Venezia il processo per i fatti dell’Ignis: tutti condannati.

Controinformazione e Soccorso rosso

«Fu così che divenni esperto di controinformazione. Tenevo contatti con molti giornalisti, ma anche con la guardia di finanza, la polizia, i carabinieri: spesso le carte arrivavano dai corpi dello Stato. Gli argomenti non mi mancavano. A Peteano, in provincia di Gorizia, saltarono in aria tre carabinieri. Mi procurai il rapporto del colonnello Mingarelli, che come prima ipotesi di indagine attribuiva la strage a Lotta continua di Trento. Costruii una rete di avvocati in tutta Italia che venivano a Trento a difendere i nostri militanti gratis o quasi: nessuno fece un giorno di carcere.

Il primo fu Sandro Canestrini, ex partigiano, ex comunista, vicino al movimento studentesco, che aveva fatto assolvere Paolo Sorbi, incriminato nel ’68 per un comizio in un liceo. C’erano Gianni Lanzinger di Bolzano, Umberto De Luca e Vincenzo Todesco di Verona, Bianca Guidetti Serra e Sandro Annoni di Torino, Giuliano Spazzali a Milano, Rocco Ventre a Roma. A Bologna nacque un collettivo politico-giuridico, a Milano il Comitato difesa lotta contro la repressione, e poi il Soccorso rosso, finanziato dagli spettacoli di Dario Fo e Franca Rame.

Lotta continua istituì una commissione Soccorso rosso, poi denominata commissione Giustizia, che non si occupava solo di difendere i compagni, ma anche dei progetti di riforma del codice Rocco e delle carceri. Stringemmo legami con Magistratura democratica, la corrente di sinistra, allora molto meno forte di oggi, in cui c’era un’anima legata al Pci e al Psi e un’altra che guardava con simpatia alla sinistra extraparlamentare. Io intervenivo a nome di Lotta continua a tutti i loro congressi.”.

FONTE: Aldo Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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