12 settembre 1950: nasce Riccardo Dura, un brigatista rosso

La lapide della tomba di Riccardo Dura, dirigente delle Brigate Rosse ucciso nel covo di via Fracchia
La lapide della tomba di Riccardo Dura (foto Enrico Porsia)

Riccardo Dura, nato in provincia di Messina il 12 settembre 1950, muore ammazzato all’alba del 28 marzo 1980. Nel corso dell’irruzione dei carabinieri a via Fracchia, a Genova. L’appartamento ospita la direzione della colonna genovese delle Brigate Rosse. Operaio marittimo, militante di Lotta Continua, è tra i fondatori della colonna genovese. Nell’inverno 1980 è membro dell’esecutivo brigatista. E’ l’ultimo tra i quattro militanti uccisi a essere identificato, grazie a una telefonata delle stesse BR. Nel volantino dell’organizzazione è presentato con il nome di battaglia:

L’omaggio dell’organizzazione

* Roberto: operaio marittimo, militante rivoluzionario praticamente da sempre, membro della direzione strategica della nostra organizzazione. Impareggiabile è stato il suo contributo nelle guerra di classe che i proletari in questi anni hanno sviluppato a Genova. Dirigente dell’organizzazione dall’inizio della costruzione della colonna oggi intitolata alla memoria di Francesco Berardi. Con generosità e dedizione totale ha saputo fornire a tutti i compagni che hanno avuto il privilegio di averlo accanto nella lotta un esempio di militanza rivoluzionaria fatta di intelligenza politica, sensibilità, solidarietà , vera umanità, che le vigliacche pallottole dei carabinieri non potranno distruggere.

Le testimonianze di Mercenaro e Morucci

Sulla sua figura si accaniscono i “pentiti” descrivendolo come un pazzo sanguinario. A restituirne una immagine più autentica arrivano due testimonianze. Il giornalista Andrea Marcenaro, suo compagno in Lotta continua e Valerio Morucci (fonte: Wikipedia):

Riccardo Dura è stato descritto da suoi compagni delle Brigate Rosse, tra cui i pentiti Carlo Bozzo, Gianluigi Cristiani ed in parte anche Adriano Duglio, come un fanatico sanguinario, animato da odio di classe, e perciò soprannominato “Pol Pot”. E’ stato descritto anche come emotivamente instabile. Il che sarebbe dimostrato dal comportamento tenuto durante gli omicidi di Esposito e Rossa. Lo hanno inoltre presentato come fanatico militarista, avvezzo a terrorizzare le reclute brigatiste. Costrette a “scavarsi la fossa” sulla collina dei Righi presso Genova, minacciandole di morte in caso di tradimento. L’esponente di Lotta Continua Andrea Marcenaro, che lo conobbe durante la sua militanza nel movimento, lo descrive invece come chiuso e silenzioso. Al contrario altri brigatisti ne hanno invece lodato, pur riconoscendone l’estremismo, la dedizione alla causa rivoluzionaria. La disciplina. La forte motivazione. L’attivismo e l’impegno. Valerio Morucci, che pur ne critica la violenta carica ideologica, lo definisce “fedelissimo” all’organizzazione, “compagno leale e sicuro”, affidabile ed estremamente determinato.

Un paragone demenziale e la furia di Balzarani

In occasione delle stragi jihadiste di Parigi del 13 novembre 2015 il suo nome è tirato in ballo dal Secolo XIX. Per un improbabile paragone tra terrorismo dell’Isis e violenza brigatista. Questa la replica di Barbara Balzerani, Polvere da sparo. Nel blog di Baruda è possibile leggere anche la testimonianza di un brigatista genovese, Enrico Porsia:

In questi ultimi giorni, dopo gli attentati di Parigi, abbiamo dovuto misurare il livello raggiunto dai media, dai commentatori, dai politici, nella gara di mistificazione dello stato di salute delle “relazioni internazionali”.

Naturalmente i nostri illustri maître à penser non si sono lasciati scappare l’occasione per sbandierare il parallelo tra l’Isis e le Brigate Rosse, con relativo pannicello caldo dei rimedi democratici già sperimentati negli anni ’70. Tra i tanti spicca un articolo comparso su Il Secolo XIX a firma Marco Peschiera. Qui si passa di livello e l’attenzione si accentra sul fenotipo del terrorista: dal brigatista Dura ad Abaaoud, il terrore fa rima con kalashnikov, recita il titolo dell’articolo. 

Ho dovuto aspettare prima di poterlo commentare per non farmi travolgere dalla furia e dalla tentazione di difendere la memoria di Roberto, perché Marco Peschiera non è all’altezza di un nemico e perché Roberto non ha bisogno di essere difeso. La miseria che ha guidato tanta penna è difficilmente raggiungibile. Dalla sottolineatura lombrosiana della somiglianza fisica, gli occhi, la barbetta, il sorriso, dei due psicopatici serial killer, fino a informarci di altre strabilianti similitudini: stessa età e stessa ora in cui sono stati ammazzati. Il giornalista ci dice che Riccardo Dura è stato un bambino abbandonato dal padre, cresciuto da una madre con cui aveva un rapporto difficile. Un disadattato cresciuto in una periferia di emarginati.

Il suo incontro con le Brigate rosse

Fino a incontrare le Brigate Rosse. E’ vero, Roberto non è venuto fuori da una famigliola con la gallina e il mulino bianco. Faceva parte di una generazione che ha buttato all’aria convenzioni e istituzioni, come la famiglia. Ma ha trovato il modo di ricostruirsene una. Facendosi amare dai compagni che l’hanno conosciuto e farsi “adottare” da nonna Caterina. L’altezza di questa compagna mette ancora più in evidenza l’evidente nanismo del signor Peschiera.

E’ vero Roberto non si era adattato, e che difetto sarebbe? Roberto non era un borghese, più o meno piccolo, adattato al sistema più ingiusto nella storia dell’umanità. E neanche un emarginato conformato agli ingranaggi dell’esclusione delle nostre periferie. Roberto era un comunista, un rivoluzionario ed era in numerosa compagnia nella sua disaffezione ad adattarsi. Non ancora pago l’articolista ci dice che, nonostante i suoi titoli da killer esperto, non aveva partecipato al sequestro di Aldo Moro perché neanche Mario Moretti, “l’enigmatico capo delle Br ricco di contatti con ambienti massonici e di spionaggio”, si fidava di lui. Nonostante l’avesse “usato” anche per i rifornimenti in Medio Oriente di carichi di armi, soprattutto i famosi Kalashnikov. Armi usate non solo dall’Isis ma soprattutto a via Fani!

E qui la professionalità del signor Peschiera raggiunge il culmine. Visto che ormai anche i bambini sanno la marca e l’efficienza dei mitra usati quel 16 marzo. Ma non è certo la corrispondenza ai fatti che preoccupa il giornalista. Gli basta il fango per esporre le sue tesi. Siamo alla fine del racconto. Roberto muore ammazzato insieme agli altri compagni “crivellato di colpi in un covo, in mutande e maglietta” con “tre buchi nella testa”.

Perché non raccontate come è morto?

E’ vero Roberto era in mutande e non solo perché stava dormendo. Ma anche perché i comunisti come lui, per straordinaria simbologia, non hanno tasche, né conti all’estero. Disadatti al grande affare della politica. A Roberto hanno sparato in testa. Sono entrati di notte, mentre dormiva e non con l’intenzione di neutralizzarlo. Come è stato per altri e altre. A quei tempi sarebbe stato strano il contrario. E allora perché non si dice invece di straparlare di sistemi democratici per combatterci? Ma è giusto così, perché con gli strumenti della democrazia un pugno di potenti ha saccheggiato, compiuto assassinii e genocidi, affamato e depredato risorse, scatenato guerre, comprato e corrotto…
Di recente sono andata sulla tomba di Roberto, a Staglieno. Ho carezzato la lapide, la foto, la dedica dei suoi compagni. Ho risentito per intero lo stesso dolore. Se ne faccia una ragione signor Peschiera. Per tanti non adatti Roberto è stato un fratello, un compagno fidato, amato, rispettato, mai dimenticato. Si auguri di meritare la stessa fortuna.

Per approfondire

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

3 Comments on “12 settembre 1950: nasce Riccardo Dura, un brigatista rosso

  1. “Estremismo””violenta carica ideologica”:insomma effettivamente somigliava più a Pol Pot che a Gandhi…

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