Curcio indagato: perché non ero con Margherita quel giorno

Il sopralluogo dopo la sparatoria a Cascina Spiotta per cui hanno Curcio indagato

“Avendo ricevuto comunicazione di essere “indagato” in relazione ad un procedimento che riguarda i fatti avvenuti alla Cascina Spiotta di Arzello il 5 giugno del 1975 credo sia utile esporre con chiarezza la mia reale implicazione al riguardo. Cosa che peraltro ho già fatto anche nel 1993 nell’intervista concessa a Mario Scialoja e pubblicata nel libro ‘A viso aperto'”. Comincia così la memoria scritta, datata 18 febbraio 2023, di Renato Curcio. L’ex capo delle Br l’ha consegnata ai pm di Torino che lo hanno indagato per il concorso nell’omicidio di Giovanni D’Alfonso. Il carabiniere morì nel conflitto a fuoco del 5 giugno 1975 alla cascina Spiotta di Arzello. Nell’occasione, durante un blitz che portò alla liberazione dell’imprenditore Vittorio Vallarino Gangia, morì anche la moglie di Curcio, Mara Cagol.

L’evasione da Casale

“Al tempo dei fatti in questione – ricostruisce Curcio – ero da pochi mesi evaso dal carcere di Casale Monferrato in seguito ad una azione condotta da un gruppo armato inter-colonne delle Brigate Rosse. Azione per la quale sono già stato condannato e che dunque non penso possa riguardare quest’indagine. Ritengo tuttavia utile ricordarla poiché avvenne il 18 febbraio del 1975. Vale a dire 48 anni or sono, ma da essa presero avvio le vicende inerenti all’indagine che è meglio chiarire”.

“Va da sé che per il clamore non indifferente che quell’azione fece il mio viso comparve più e più volte su giornali e televisioni. Questo, sia per le BR che per me, costituiva un problema. C’era, per un verso la preoccupazione che qualcuno notasse e segnalasse la mia presenza. Per un altro, la necessità di salvaguardare chi mi era vicino e le strutture dell’organizzazione. In entrambi i casi era quindi opportuno che me ne stessi tranquillo per un po’ e fuori da quei rischi. Valutazione che fu chiara anche a me e che dunque condivisi”.

Il mio arresto in Piemonte

“Per oltre un mese rimasi riparato in un piccolo appartamento della Liguria in attesa che sbollissero le acque, come ho raccontato nel libro citato. All’inizio di aprile si pose però il problema di una ripresa della mia militanza attiva e di una sistemazione più stabile. E questo non poteva avvenire in Piemonte, a Torino, dove a partire mi avevano arrestato. Con Margherita valutammo così che fosse più sensato un mio spostamento a Milano. Anche se questo comportava un qualche allontanamento tra noi. Ritenni comunque di non dover entrare neanche nei ranghi della Colonna milanese per non mettere a repentaglio la sua sicurezza. Preferii invece dedicarmi a una nuova tessitura di rapporti in ambienti sociali diversi rispetto a quelli che avevo conosciuto e assiduamente frequentato tra il 1969 e il 1972”.

“Tra aprile e maggio operai dunque in relativa autonomia a Milano totalmente assorto da questo nuovo compito. Cominciai a frequentare e a conoscere un’area nuova dell’effervescenza sociale. Quella da cui emerse Walter Alasia, mio primo collaboratore in questa impresa. Di fatto, in quel breve periodo, non fui in organico né nella Colonna Torinese, né nella originaria Colonna Milanese. Tuttavia, se per un verso questo mi proteggeva dai rischi connessi alle dinamiche interne di quelle due colonne – dalle quali il pur breve periodo del carcere mi aveva completamente disconnesso – per un altro, decretava anche inevitabilmente un sostanziale isolamento rispetto alle loro pratiche ovviamente molto compartimentate”.

Al lavoro con Walter Alasia

“In quel periodo non partecipai dunque ad alcuna loro campagna operativa. Mi invitarono a un solo incontro tra Margherita per la Colonna di Torino, e Mario Moretti, per quella di Milano. La discussione si era resa opportuna poiché nell’organizzazione stava circolando tra i militanti l’idea di aggiungere agli espropri di banche anche eventuali sequestri di banchieri o comunque di persone facoltose. In quell’incontro, in piena ortodossia brigatista, non si discussero azioni specifiche da compiere, anche se, genericamente, se ne ventilarono alcune. Si concluse che sarebbero state le singole le Colonne a valutare in proprio i pro e i contro, e a decidere in piena autonomia cosa sarebbe stato meglio fare per ciascuna di esse”.

“Dico ‘in piena autonomia’ perché nelle Brigate Rosse non ci sono mai stati ‘esponenti apicali’ al di sopra delle Colonne e men che meno ‘capi colonna’ che impartissero ordini a militanti subalterni ed esecutori. Il principio dell’unità della dimensione politica con quella militare – ‘Chi propone fa!’ ampiamente esposto nei documenti dell’epoca, nelle pratiche e nelle testimonianze postume, venne fin dal primo giorno affermato e rispettato da tutti. Così come quello della partecipazione in prima persona alle azioni proposte ed accolte”.

Non sapevo niente del sequestro Gancia

Per quanto attiene la decisione della Colonna torinese di mettere in opera il sequestro di Vallarino Gancia non conosco alcun particolare specifico. Non essendo interno alla Colonna torinese mi tennero accuratamente all’oscuro della discussione che portò alla sua progettazione operativa, alla sua messa in opera e delle modalità in cui avrebbe dovuto svolgersi. A ridosso del 4 giugno 1975 tuttavia incontrai, come periodicamente accadeva, Margherita. In quell’occasione fu lei a dirmi che i nostri già radi incontri diretti sarebbero stati temporaneamente sospesi per qualche tempo poiché la Colonna torinese sarebbe stata impegnata in una azione a cui lei stessa avrebbe preso parte”.

“In quell’occasione mi indicò anche un altro compagno che avrebbe provveduto a mantenere in sua vece i contatti periodici di sicurezza. E fu proprio quel compagno che il 5 giugno mi fissò un appuntamento urgente a Milano durante il quale mi chiese se avessi sentito i notiziari della radio. Risposi di no e chiesi la ragione per cui avrei dovuto farlo. Fu così che venni a conoscenza di quanto era successo alla cascina Spiotta. Di tutto ciò comunque ho dato un’ampia e pubblica testimonianza nel 1993, vale dire trent’anni fa – ripeto: trent’anni fa! – nel libro all’inizio citato e ampiamente circolato in Italia e all’estero”.

“Comunque, in uno degli appuntamenti settimanali di sicurezza che seguirono mi venne riferito che il compagno fuggito dalla cascina Spiotta dopo il conflitto a fuoco desiderava incontrarmi per raccontarmi in prima persona quanto era accaduto. In un primo tempo, non conoscendolo preferii non incontrario. In un secondo tempo, tuttavia, dopo aver letto la sua relazione ampiamente circolata nelle varie Colonne, decisi – nonostante il rischio – di farlo per conoscere meglio alcuni dettagli relativi agli ultimi confusi minuti della vita di Margherita. Questo incontro si svolse in una località turistica verso la fine di giugno.

Non avevo mai visto prima la persona che si presentò e mai più la rividi in seguito. Era un uomo assai afflitto per il ‘guaio’ che era successo e oltremodo turbato per gli errori compiuti e per le morti che ne erano derivate. Lo ascoltai in silenzio. Anche di quell’incontro comunque ho fatto un cenno trent’anni fa nel libro ‘A viso aperto'”.

Chi ha ucciso Mara inerme?

“Di un’unica cosa però in quel libro non ho detto tutto quello che credo resti da dire ancora: il modo in cui è morta Margherita. Dalla relazione scritta dal compagno che era con lei alla cascina, ampiamente circolata nelle Brigate Rosse, rinvenuta in qualche perquisizione e infine anche pubblicata, si può dedurre infatti che sia stata uccisa ‘dopo il conflitto’; anche se, ovviamente, quella relazione non costituisce una prova. Oggi però con l’autopsia in mano possiamo avere la certezza che il colpo mortale a un classico “sotto-ascellare”, da sinistra a destra, che le ha perforato orizzontalmente i due polmoni; colpo mortale e inferto con competenza professionale. Su di ciò non possono esserci più dubbi, come sul fatto che Margherita in quel momento fosse disarmata e le sue mani fossero alzate. Restano allora senza risposta due domande: chi realmente ha premuto il grilletto? Era necessario?”

“Non ho voluto fino ad oggi sollevare queste tristissime domande né l’avrei fatto se questa strana comunicazione che mi è stata notificata il 14 febbraio del 2023 in cui leggo di ‘essere indagato’ non me le avesse strappate dal cuore riportandole in qualche modo allo scoperto”, conclude Curcio.

FONTE: Adnkronos. Gli intertitoli sono tutti link attivi a precedenti post dell’Alter Ugo

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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